Conversazione con Katia Migliori

Katia Migliori, membro del comitato scientifico di Passaggi, è docente, ricercatrice, femme de lettres di straordinaria finezza. La incontriamo per chiederle del suo percorso insieme umano e professionale e del suo impegno nell’ambito della cultura. Le sue risposte sono il dono (atteso) di una lezione sul senso ultimo dell’insegnare, del ricercare, del militare al fianco della filosofia, della letteratura, del pensiero. 

Prof.ssa, tra le altre cose, Lei ha fondato la cattedra di Retorica all’Università di Urbino, ha indagato la figura inesauribile di Pasolini e s’è spesa per assegnare a Mario Luzi il pieno merito della sua grandezza letteraria: quali sono oggi le Sue passioni di critica e studiosa? Qual è l’orizzonte della sua ricerca ora?
Sì, è proprio come dici – «tra le altre cose» – sai, io non ricordo oramai più nulla, per un meccanismo di salvezza, cancello subito ciò che è stato fatto, così mi sento più leggera, e posso continuare – a pensare – insomma è l’arte dello ‘sgombero’, e intanto tento in tale modo di difendermi dalla tentacolare vanitas! Ma tre cose restano indelebili, incise nel cuore e nella mente. Il mio primo studio di Officina, che mi ha permesso di entrare in conversazione, già molto giovane, con il circolo bolognese: Pasolini, Scalia, Roversi, Romanò. È stata da parte loro un’adozione, e per me imparare con umiltà il labor, il ludus: una vera scuola privata, intima, una skholé. Il riposo e il gioco del pensare! Una ritrovata timidezza – come Angelo Romanò mi diceva spesso. Quindi si può certamente affermare che sono stata sempre nella scuola; è l’incessante passione della mia vita: forse sono nata insegnante, insegnante di scherma, insegnante di retorica, di critica… insomma l’insegnante è un aristocratico participio presente: non si congeda mai e non può mai essere congedato. È un sigillo; un marchio… cercare segni, avere un rapporto con gli altri, e tutto questo è vitalisticamente pedagogico. Ascoltando la naturalezza del sé, indagando le richieste della natura umana, dei miei giovani! La retorica per gioco d’anagramma è erotica: penso alla parola come musica, suono, soffio, respiro. Le loro etimologie, una tessitura straordinaria, mirabile. Nietzsche era un retore già a venti anni, quando ho scoperto che aveva avuto la cattedra di retorica già così giovane, non ho più smesso di desiderarla anche io.

Lei ha parlato del suo essere insegnante come di una condizione, una flessione dello spirito, più che come di una mera professione. Ma quali sono stati i suoi maestri? Chi ha segnato il suo percorso formativo?
Parlare dei miei Maestri mi è sempre più doloroso: da Pasolini a Luzi, Jabès, sino al grande semiologo Paioni, con il quale ho studiato e ricercato in questi ultimi venti anni! Sono stati i miei ‘docenti’ di avventura del pensiero, interlocutori di sempre. Una forza di insegnamento, di suggerimento, di suggestione.

Da accademica che ha sempre rivendicato un’indipendenza dalle logiche e dai circuiti universitari, qual è la Sua opinione sullo stato di salute della nostra Università oggi? È ancora il luogo privilegiato per la circolazione delle idee?
La degradazione in cui siamo e viviamo possiamo pensarla come una diseducazione totale. I Maestri dove sono? Temo che oramai le nostre aule universitarie siano sempre più aride del pensiero che pensa. Perché i professori restano semplicemente professori, non sono professionali, non pro-fessano. Non c’è più reciprocità tra maestro e discepolo… insomma, il maestro deve farsi discepolo, per essere maestro. La pasoliniana Koinonia (comunicazione e comunione degli spiriti)…!

La letteratura può essere strumento di felicità? Che cos’è per Lei la felicità possibile?
La Letteratura c’è e sempre sarà perché è la vita nel suo dialettico doloroso e felice vivere, e, se posso, vorrei concludere sulla ‘felicità possibile’, tema essenziale e straordinario di Passaggi Festival Saggistica di quest’anno, con questa riflessione Luziana: «se questo è tempo di seminare, mai semina fu più turbata e dispersa. E la verità è forse anche più grave; ed è che nella nostra indigenza noi divoriamo anche il seme, primi come siamo della costanza, dello spirito di sacrificio che occorrono per lasciarlo accestire». Dunque la felicità possibile è proprio nel permettere a questo seme di svilupparsi e mettere, così, la nostra condotta in sua corrispondenza.

In occasione della quarta edizione di Passaggi, Katia Migliori cura, insieme a Lucia Ferrati, Letti di Notte – Le città: San Pietroburgo. Io sono la vostra voce (in collaborazione con Letteratura Rinnovabile), sabato 25 giugno, fino all’1.30 di notte.


Intervista di Carolina Iacucci 

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