Penultimo incontro in Piazza XX Settembre prima di lasciare spazio ai ricordi di Francesco Moser e alla chiusura del festival: Melita Cavallo, Vladimir Luxuria, Francesca Puglisi e Maria Novella De Luca affrontano i temi della deprivazione affettiva, della fragilità adolescenziale, dell’identità di genere, delle nuove famiglie e della stepchild adoption

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Al centro di uno degli ultimi incontri che concludono l’edizione 2016 di Passaggi Festival non poteva che esserci la “felicità possibile,” tema principe di questa stagione. Intervengono al dibattito intorno al libro Si fa presto a dire famiglia, l’autrice Melita Cavallo, l’attivista per i diritti civili Vladimir Luxuria e la parlamentare Francesca Puglisi, coordinate dalle domande della giornalista di Repubblica Maria Novella De Luca. Durante l’incontro, la felicità possibile è declinata dal punto di vista dei bambini, ed è la prospettiva dei bambini che l’autrice privilegia nel suo libro, una raccolta di storie familiari accumulate in 40 anni di lavoro come giudice. Attraverso queste storie, l’autrice dipinge il cambiamento della famiglia italiana dal suo interno. Realizzare l’interesse superiore dei bambini è ciò cha ha sempre ispirato l’etica e la pratica di Cavallo in tribunale, e il bene dei bambini è, secondo Luxuria e Puglisi, ciò che il governo italiano dovrebbe tutelare attraverso le riforme.
La stepchild adoption è la prima problematica toccata nel dibattito che accalora la senatrice Puglisi nel ricordare come l’accordo politico che era stato raggiunto tra diverse parti politiche saltò a causa di una telefonata da Milano. Il frantumarsi dell’accordo non permise la legalizzazione della stepchild adoption, ma non solo. Secondo Puglisi, trascurò il principio fondamentale della convenzione di New York: il supremo interesse del bambino. Cavallo conosce bene quel principio. Sono i visi sofferenti dei bambini e ragazzi che Cavallo ha incontrato durante la sua carriera ad aver ispirato il libro; sono le vicende familiari che l’autrice porta ancora dentro, a lei più care che ai protagonisti stessi, a cui l’autrice ha dato voce.

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Vladimir Luxuria era una di quei bambini. L’ex onorevole interviene portando la sua esperienza di donna che «come quella statua di efebo dormiente», afferma lei stessa, «volge il viso nella direzione opposta al proprio organo sessuale maschile». Tale gesto significa vivere libera, spiega il ministro, ma comporta la necessità di affrontare il giudizio della famiglia, la Chiesa e la società con il rischio dell’emarginazione e dell’isolamento. È in questo spazio di «grande solitudine», parole di Luxuria, che lo stato deve intervenire per tutelare la libertà del singolo e dunque la sua felicità. Quando il crogiolo familiare non svolge più la sua funzione di protezione e orientamento del singolo, ma diventa una prigione oppressiva cui si soccombe o che si abbandona, lo stato deve riempire questo vuoto con infrastrutture adeguate ad assistere il cittadino. Cavallo e Puglisi si appellano ad un investimento sulle strutture scolastiche che offrono un doppio vantaggio. Da un lato, l’istituzione scolastica assiste e supporta la figura genitoriale. Puglisi ricorda come molte donne non possano avere figli per timore di essere licenziate o in mancanza di un partner o di una famiglia alle spalle che le aiuti. Ma il vantaggio più grande va in favore dei giovani: la scuola offre loro un rifugio e un’alternativa all’emarginazione. Essa ristabilisce quella forma di «controllo sociale che oggi», afferma Cavallo, «è venuta meno». Essa fornisce le basi culturali sulle quali costruire la solidarietà verso il vicino e la sua integrazione. Molte linee dei discorsi ascoltati durante i quattro giorni del Passagi Festival appena trascorsi convergono sulla necessità di ricostruire l’integrazione sociale e culturale tra individui all’interno dello stesso paese, ma anche dello stesso continente e di diversi continenti. «La felicità è possibile, migliorare si può», attraverso un impegno corale in cui nessuno può e deve tirarsi indietro; in cui ognuno, come dice Cavallo, «vuole vedere e non resta ancorato al proprio benessere, inconsapevole del malessere di chi sta loro accanto».

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Articolo di Teresa Valentini

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