Alessandra Longo Passaggi Festival 2018 400x300Alessandra Longo, giornalista de La Repubblica, è membro del comitato scientifico di Passaggi Festival della Saggistica. Per dieci anni come autrice della rubrica Belpaese ha documentato anomalie e curiosità della nostra società e della politica, di cui tuttora continua ad occuparsi con graffianti editoriali. Longo, che ha visto nascere Passaggi, ogni anno partecipa al Festival conversando con gli autori sul palco di piazza XX Settembre.

La giornalista di Repubblica: “Passaggi una realtà per tutta Fano”

Dottoressa Longo, qual è il suo rapporto con Passaggi Festival?
Il mio rapporto con Passaggi? Di amore! È bello veder crescere una creatura di anno in anno. Abbiamo cominciato credendoci noi, adesso Passaggi è diventata una realtà per tutta Fano.

Cosa ne pensa di Passaggi e della crescita che ha avuto dal 2013 ad oggi?
Il salto vero è stato il passaggio nella piazza di Fano. A posteriori confesso che immaginare  un migliaio di posti a sedere che si riempiono le sere d’estate, quando fa ancora caldo, è una cosa da far tremare i polsi. Ma ce l’abbiamo fatta e adesso la gente a volte deve rassegnarsi a vedere certi eventi in piedi o ai tavolini dei bar. Una bella soddisfazione.

Alessandra Longo: “Passaggi Festival per un giornalista è come l’acquario per i pesci”

Un festival come Passaggi è un luogo naturale per un giornalista, dove  trovare spunti e informazioni?
Passaggi per un giornalista è come l’acquario per i pesci. È un luogo dove si fa il bilancio politico-culturale dell’anno, prima di inoltrarsi nell’estate delle vacanze. Incontro a Fano molti colleghi e abbiamo finalmente modo di scambiarci le nostre impressioni fuori dai tempi contingentati del nostro lavoro quotidiano.

Qual è l’ultimo saggio che ha letto?
È un libro di Tom Nichols che si intitola “La conoscenza e i suoi nemici”. Parla della attuale antipatia che suscita in genere la competenza, quasi fosse una colpa.

Che differenza c’è tra la stesura di un articolo di inchiesta destinato ad un giornale ed una
inchiesta da pubblicare su un saggio?
Una differenza molto sensibile. L’inchiesta su un giornale deve necessariamente essere prodotta
rapidamente in ossequio ai ritmi dell’informazione cotta e mangiata. Certo non sempre, ma nella maggior parte dei casi. Un saggio sullo stesso argomento esige approfondimento e riflessione, deve essere più
documentato, più costruito, destinato a rimanere, ed essere letto e riletto.

Crede ancora nel valore politico del saggio, nonostante ora la politica si avvalga prevalentemente dei social?
Io credo molto nella saggistica che non può essere sostituita dalle provocazioni e dai suggerimenti che appaiono sui social. Il peso della parola di carta è insostituibile. I social sono velocità, flash sul mondo, poi con i libri ci si ferma a ragionare.

“Non mi piace l’improvvisazione, leggo tutti i libri che presento”

Nella scorsa edizione di Passaggi Festival ha dialogato con personaggi come Antonia Klugmann, Stefano Allievi e Marco Minniti: come si prepara a questi incontri?
Il mio sistema è sempre quello, che parli di cucina e territorio o di politiche sull’immigrazione. Sono un po’
secchiona, non mi piace l’improvvisazione. Mi leggo sempre fino in fondo i libri che presento e sottolineo le frasi e i pensieri che mi stimolano di più. Il resto nasce spontaneamente dall’incontro con l’autore. Però non si può non partire dalla conoscenza dei testi.

Nicola Lagioia sostiene che la linea editoriale dei giornali è preponderante rispetto alla libertà
espressiva degli autori. Lavorare per un grande giornale può limitare le capacità di un giornalista?
Stimo Lagioia ma non sono d’accordo. Io non ho mai perso la mia visione del mondo per subordinarmi a quella dell’editore. Forse perché ho scelto un editore che la pensava più o meno come me! E comunque
lavorare in un grande giornale è un’esperienza preziosa, per i mezzi che ti offre, per la qualità delle persone che incontri, per la costante sfida intellettuale che produce il confronto con i colleghi.

 

 

 

 

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