Monica Maggioni presenta il libro Terrore Mediatico (Laterza), quello che l’autrice definisce come parte integrante della stategia comunicativa dell’Isis che, grazie anche al ruolo dei social network, ci ha trasformato in bersagli della loro comunicazione. Discutono con l’autrice Bruno Manfellotto, giornalista de l’Espresso, e Lorenzo Cremonesi, giornalista del Corriere della Sera.


[no_dropcaps type=”normal” color=”” font_size=”” line_height=”” width=”” font_weight=”” font_style=”” text_align=”” border_color=”” background_color=”” margin=””]Q[/no_dropcaps]uesto libro nasce dal racconto sul campo della vicenda di Charlie Hebdo: tre giorni di corse, una Parigi sotto attacco, l’incredulità di mille schermi che trasmettono indistintamente le stesse, terribili, immagini. L’autrice Monica Maggioni racconta: «in quei giorni frenetici ed incredibili mi sono resa conto di come la Francia fosse tenuta sotto scacco da tre sole persone che avevano il controllo assoluto, mentre tutto il mondo dei media stava trasmettendo sui suoi schermi esattamente le stesse immagini, le loro». È da qui che parte una riflessione sull’enorme portata che comunicazione e dei mezzi di condivisioni. Il pensiero forte di una giornalista che si chiede «Cosa stiamo facendo?».

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[no_blockquote text=”Nei giorni dell’attacco a Charlie Hebdo mi sono resa conto di come la Francia fosse tenuta sotto scacco da tre sole persone che avevano il controllo assoluto, mentre tutto il mondo dei media stava trasmettendo sui suoi schermi esattamente le stesse immagini, le loro” text_color=”red” title_tag=”h5″ width=”” line_height=”” background_color=”” border_color=”” show_quote_icon=”yes” quote_icon_color=”” quote_icon_size=””]

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'Terrore mediatico' di Monica Maggioni (Laterza)

‘Terrore mediatico’ di Monica Maggioni (Laterza)

[no_dropcaps type=”normal” color=”” font_size=”” line_height=”” width=”” font_weight=”” font_style=”” text_align=”” border_color=”” background_color=”” margin=””]N[/no_dropcaps]el suo intervento, Bruno Manfellotto, l’Espresso, racconta il segno di un’indifferenza alla violenza e un degrado visibili nei video delle decapitazioni, nelle foto, negli sguardi di chi osserva quelle azioni insensate: un problema che noi stessi dovremmo iniziare a porci. 
Chiede così all’autrice quale sia il confine giusto tra il nostro dovere di fare informazione e la responsabilità della correttezza, problematizza sulla nuova responsabilità del giornalista che ha il dovere di allontanarsi dal rischio di essere strumento per una propaganda.


Monica Maggioni chiama ‘zona grigia’ questa nuova difficoltà del mestiere giornalistico di scegliere un contenuto ed il modo in cui raccontarlo, ma ribadisce anche la responsabilità di ogni utente nel momento in cui decide di compiere un atto ormai così naturale: condividere. 
Il pubblico deve andare oltre la semplice visione della notizia, è necessario chiedersi cosa nel profondo muova queste persone e, di conseguenza, quanto noi stessi stiamo contribuendo a creare questo fenomeno: «i punti di domanda sono fondamentali, pur non essendo più questo il mondo delle risposte efficaci».

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[no_blockquote text=”la mia scelta di non trasmettere certi video non è una censura né sottovalutazione, è una presa di posizione che ricorda l’importanza e la responsabilità del giornalista per la comprensione reale e la decodifica di ciò che è davvero Isis. Io mostrerò tutto, ma in modo diverso” text_color=”red” title_tag=”h5″ width=”” line_height=”” background_color=”” border_color=”” show_quote_icon=”yes” quote_icon_color=”” quote_icon_size=””]

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[no_dropcaps type=”normal” color=”” font_size=”” line_height=”” width=”” font_weight=”” font_style=”” text_align=”” border_color=”” background_color=”” margin=””]L[/no_dropcaps]orenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera, ribadisce l’importanza di una comprensione profonda dell’Isis per avere la possibilità di sottrarsi alla loro logica di strumentalizzare. 
Una domanda nasce spontanea: come si può raccontare senza essere amplificatori, propagandisti e vittime? 

#JeSuisCharlieHebdo fu la reazione immediata della rete agli avvenimenti parigini, ma pochi giorni bastarono al New York Times per dichiarare: «noi non siamo Charlie Hebdo» a sottolineare la volontà di riflettere, comprendere, non asservirsi al ruolo di semplici divulgatori.
 La Maggioni allora racconta come la scelta di non trasmettere certi contenuti può essere la giusta presa di posizione per spezzare questo meccanismo, perché spesso chi sceglie di pubblicare si sta offrendo come strumento di divulgazione all’Isis. 
Senza cadere nel rischio della banalizzazione della notizia, l’autrice conclude:
 «la mia scelta di non trasmettere certi video non è una censura né sottovalutazione, è una presa di posizione che ricorda l’importanza e la responsabilità del giornalista per la comprensione reale e la decodifica di ciò che è davvero Isis. Io mostrerò tutto, ma in modo diverso».

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