Claudio Novelli

Claudio Novelli a Passaggi Festival 2013

L’autore del lettering “Passaggi” e membro del comitato scientifico racconta la nascita del Festival

Lei non solo ha visto nascere il Festival, ma vanta anche la paternità del naming “Passaggi”. Ci racconta come è andata? Da dove è nato tutto, ormai ben dieci anni fa?
Conoscevo Giovanni Belfiori, il direttore del Festival, perché lavoravamo entrambi con Walter Veltroni. Giovanni mi chiamò nell’estate del 2013, mentre ero in vacanza in Puglia, per dirmi che insieme a Nando dalla Chiesa e all’ex sindaco di Fano Cesare Carnaroli aveva avuto l’idea di creare un festival della saggistica. Inizialmente mi coinvolse solo per avere qualche dritta, qualche idea, ma dopo pochi giorni mi chiese di partecipare in prima persona. In virtù della nostra amicizia e anche degli interessi comuni, non potei che accettare. Ci ritrovammo, allora, di fronte al difficile compito di scegliere il nome. Giovanni era partito con l’idea di chiamarlo “Saggifest”, ma a dire il vero trovavo il nome poco adatto, privo di qualsiasi attrazione. Dopo aver valutato una serie di proposte che non ci convinsero mai fino in fondo, mi venne in mente un libro di Vittorio Foa dal titolo “Passaggi” che sembrava prestarsi perfettamente. Infatti conteneva proprio la parola saggi – inizialmente era anche scritto come “PasSaggi” con la prima s minuscola e la seconda maiuscola – e indicava esattamente quello che volevamo trasmettere, cioè il passaggio, il cambiamento da un’epoca all’altra, e anche da una materia all’altra, l’interdisciplinarietà e l’eterogeneità che avremmo voluto per il nostro Festival.
La prima edizione si tenne a fine novembre 2013, e fu un’edizione un po’ garibaldina, quasi clandestina, perché si svolse a Palazzo San Michele. Già al bar principale, a centro metri, nessuno aveva idea di dove fosse e forse anche di cosa fosse Passaggi Festival. Ci fu comunque una bella risposta di pubblico, la sala si riempì facilmente, perché vennero subito ospiti importanti come lo stesso Veltroni, Sergio Zavoli, Enrico Rava, Marco Damilano, Sandra Bonsanti, Mauro Berruto.

Qual è il clima che si respira a Fano nei giorni di Passaggi?
Adesso c’è senza dubbio un clima di grande effervescenza, la città vive al massimo il festival, c’è estrema curiosità, c’è attesa, ci sono mille iniziative. Non è sempre stato così, perché inizialmente risentimmo della posizione marginale della sede, soprattutto il primo anno. C’era grande interesse, ma il grande interesse era raccolto in luoghi che potevano contenere al massimo trecento persone. Oggi, invece, il Festival attraversa la città, è nel centro storico e nel lungomare, e la differenza si sente.
Infatti subito dopo la prima edizione capimmo che dovevamo cambiare periodo dell’anno, preferendo l’estate, e cercare un luogo più aperto, e così ci spostammo prima al Chiostro delle Benedettine e poi ci allargammo fino in Piazza. Oggi Passaggi è una grande manifestazione nazionale, e questo è sotto gli occhi di tutti; fa effetto già solo guardare le foto della piazza fatte dal palco per rendersi conto della partecipazione e del clima che si crea in quei giorni.

Cosa ci può dire, invece, della sua personale maniera di vivere l’esperienza del Festival?
Per me è sempre bello, tutto sommato è la settimana dell’anno che aspetto di più. È un piacere vedere questa creatura che cresce di anno in anno, ed è un piacere vedere come ci sia voglia e quasi bisogno di discutere e affrontare certi temi. Io per esempio vivo a Roma, parto da Roma, e si potrebbe quasi pensare che si tratti di una diminutio, perché vado dal grande al piccolo, dalla capitale in una cittadina di provincia, ma è esattamente il contrario. Rispetto a una grande città come Roma, dove se presenti un libro alla Feltrinelli, anche se sei un autore quotato, trovi venti persone al massimo, in una cittadina di provincia ci si accorge di più di quanta voglia e di quanta curiosità c’è. Come si dice, quando c’è qualcuno che è più assetato, l’acqua dà più beneficio e si vede.
Negli ultimi anni per via del covid ovviamente tutto risulta un po’ cambiato, bisogna far uscire e rientrare tutti, ma ricordo che era bellissimo vedere le persone che arrivavano in piazza, si sedevano tra il pubblico e non si muovevano dalla prima all’ultima presentazione.

In quanto storico di formazione, ritiene che il ruolo di manifestazioni come Passaggi Festival sia in qualche modo assimilabile a quello della storia, come chiave di lettura del presente? Quanto è utile, cioè, il dibattito, il confronto intorno alla saggistica più varia per comprendere meglio quello che accade al giorno d’oggi?
È ovviamente molto importante, c’è un estremo bisogno di dibattito e di confronto e ce ne si rende conto forse proprio in momenti così complicati, così complessi come quelli che stiamo vivendo negli ultimi anni, dalla pandemia alla guerra.
Ormai tutto viene troppo spesso risolto attraverso un tweet o una comparsata in televisione, e questo può fare più o meno audience, può fruttare un titolo su un giornale, ma così non si comprendono affatto le cause e le dinamiche degli eventi, non si vedono le prospettive di quello che può accadere. Per questo è assolutamente necessaria la saggistica, che comporta una riflessione più approfondita. Se invece di fare sempre una gara di velocità dei sessanta metri si facesse, non dico una maratona, ma almeno i diecimila metri, per provare a comprendere con più calma, con più profondità… questo è l’unico modo che abbiamo per andare realmente a fondo alle questioni.

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