Marilù Oliva Passaggi Festival

Nella splendida cornice della Chiesa di San Francesco, l’autrice Marilù Oliva ha presentato il suo ultimo libro “L’Eneide di Didone”, edito da Solferino. A conversare con lei, nella penultima giornata del festival, la docente di lettere e critica letteraria Carolina Iacucci.

Una riscrittura dell’Eneide

Il libro che Marilù Oliva ha presentato a Passaggi, si configura come la sua seconda opera di riscrittura mitologica, dopo “L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre”.
Con l’Odissea voleva omaggiare la tradizione omerica e soprattutto le donne di quest’opera, nata oralmente durante il Medioevo Ellenico e scritta probabilmente intorno al VI secolo avanti Cristo. Nonostante abbia attuato un cambio di prospettiva, lasciando narrare le vicende alle donne, ha fedelmente seguito le vicende del poema omerico. Era importante dare spazio a questi personaggi femminili, perché sono significativi e molto diversi dai prototipi dell’età antica. Basti pensare ad Andromaca dell’Iliade, che si sente annullata quando il suo Ettore va in battaglia, oppure Briseide e Criseide meri oggetti di piacere. Nell’opera che vede protagonista Odisseo ci sono invece donne speciali, che hanno potere nel loro spazio circoscritto. Ad esempio Calipso, che accoglie Ulisse e lo tratta come “toy boy”, certa che ogni notte tornerà nel suo talamo per consolarsi.
L’Eneide nasce invece come un poema su commissione di Ottaviano, per dar lustro al proprio potere. Lo stile è elevato, ma si percepisce una minor spontaneità. Anche nell’Eneide c’è una grande donna, Didone. Nella riscrittura di quest’opera, Marilù Oliva attua una torsione rispetto alla versione di Virgilio. Didone infatti non si suiciderà dopo la partenza di Enea, ma continuerà a regnare. Ecco spiegato quindi il titolo “L’Eneide di Didone”. 

Rispetto filologico e creatività narrativa

L’equilibrio tra il rispetto filologico e l’esigenza di trasfigurazione narrativa è stato raggiunto attraverso numerosi tentativi. Spesso l’autrice si è avvalsa della traduzione di alcuni punti direttamente dall’opera originale. Ad esempio nel canto IV è stata criticata per aver messo in cattiva luce Enea, ma l’autrice non ha fatto altro che tradurre i dialoghi. Succede infatti che Didone, una donna che ha sempre cercato la verità, vede le navi di Enea che stanno per salpare e allora lo affronta per chiedere chiarimenti. La regina di Cartagine, infatti, lo ha accolto ed amato e si è compromessa seriamente per lui facendolo agire come un sovrano, ma Enea sta per fuggire senza nemmeno salutarla. Nel gergo attuale, questa dinamica potrebbe essere chiamata “ghosting”, ma non è Marilù Oliva a deciderlo, bensì lo stesso Virgilio. Enea risponde all’affronto di Didone dicendo che in fondo il loro legame non era pari ad un matrimonio, cioè il loro amplesso non equivaleva ad un legame eterno. Per la donna però durante quell’amplesso in una grotta, voluto da Giunone e Venere, si era instaurato un legame basato sulla stessa fides che Catullo aveva per Lesbia, nonostante quest’ultima fosse sposata con Metello. Didone infatti gli risponde “perfides”, cioè traditore della fides, che è uno dei crimini più grandi che si possono fare.

Didone, una donna di rottura

La figura di Didone è quella di una donna irriverente e satirica, che si è autoaffermata. Si pone come una cesura con i personaggi del passato, perché sa che gli dei esistono ma non crede che siano presenti. Per dare questa intonazione al personaggio,  Marilù Oliva  si è affidata alla leggenda. Si narra che Didone sia fuggita da Tiro dopo che il fratello ha ucciso suo marito, tramite una nave con tanti uomini che stavano ai suoi ordini. Durante il viaggio nel Mediterraneo, sulla costa africana vide un posto bellissimo, che sembrava un porto naturale e decise di fermarsi lì. Già da subito iniziò a contrattare con  le popolazioni del luogo dimostrando un’ampia abilità diplomatica e la capacità di raggirare situazioni svantaggiose con l’astuzia. In realtà questo personaggio è vissuto nel IX secolo a.C., mentre Enea nel XIII secolo a.C., quindi non avrebbero mai potuto incontrarsi. La forzatura di Virgilio è voluta per “mettere un po’ di pepe ad una storia di guerra”.

Il tema della maternità

La maternità è un tema molto discusso questi giorni, soprattutto per gli eventi americani. A tal proposito l’autrice cita un passo del romanzo “Violeta“, di Isabel Allende.

“Se gli uomini avessero dovuto partorire e sopportare un marito, l’aborto e il divorzio sarebbero stati dei sacramenti”.

A Didone viene dapprima negata la possibilità di essere madre, o meglio si convince di essere sterile perché dal matrimonio con Sicheo non nascono figli. Poi a Cartagine arriva Enea con il figlio Ascanio, che ha perso la madre durante il conflitto di Troia. Lei lo accoglie, lo accudisce, va a caccia con lui e assapora la maternità attraverso l’adozione. Ma l’esperienza di madre la vive anche attraverso la fondazione della città di Cartagine.

Amanti, come fratelli

Presente nel libro anche il ruolo della sorella di Didone,  Anna, con la quale ha pochi aspetti in comune. La curiosità è che per numerosi aspetti, anche fisici, è più simile ad Enea che ad Anna. Questo è anche un espediente letterario, che torna utile a Marilù Oliva per realizzare un’innovazione nella trama: dopo la morte di Enea, Didone indossa il suo elmo e per un tempo circoscritto si finge lui e guida  Troiani. Questa somiglianza con il proprio amato ricorda l’Elegia latina e l’idea degli amanti come fratelli. La somiglianza non è solo fisica: entrambi sono impreparati per il compito che è stato loro affidato. Enea, figlio del pastore Anchise e di Venere, non è pronto a scappare e da Troia così come non lo era Didone quando scappò da Tiro dopo l’uccisione del marito.

Il fascino affabulatore di Enea

Enea è stato vittima di una sofferenza immane e nel giungere a Cartagine cerca di rielaborarla tessendo un racconto. Didone ne è affascinata, perché le sue parole sembrano musica. Marilù Oliva ha quindi cercato di trasportare nel suo libro questo aspetto sonoro, per riportare la musicalità tipica di questi poemi. La mitologia è fondamentale, perché aiuta a mantenere la fantasia. Il mito ci appassiona da sempre, non è solo una moda del momento. Ci sono tantissimi riferimenti alla mitologia, nel nostro immaginario. Anche Miyazaki nel suo film “La città incantata” pone un episodio che è riferito a Circe: i genitori della protagonista si abbuffano e il loro volto si trasforma in quello di maiali.

La tecnica del noir si insinua nella mitologia

Marilù Oliva proviene dal genere del giallo, infatti nella sua narrazione inserisce delle spie ed altri elementi di mistero. In realtà questi sono già presenti sia nell’Odissea che nell’Eneide. Nel primo caso, si narra di un compagno di Ulisse che muore in circostanze misteriose mentre soggiorna da Circe; inoltre vi è anche il tentato assassinio di Telemaco, erede al trono di Itaca, salvato da Atene. Nell’Eneide l’elemento del giallo entra in ben due occasioni: la morte di Enea e la storia di Palinuro, un personaggio che sparisce in mare e di cui Enea conoscerà la sorte dopo il loro incontro agli Inferi.

“Non credo di essere io, come giallista, che trovo il giallo ovunque. Il problema è l’opposto, ovvero che è il giallo per me è la nostra vita.”

Una rete di voci narranti

Nel libro è presente una focalizzazione mobile, ovvero un’alternanza di voci narranti. Nell’Eneide ci sono le voci di Venere, Giunone e Didone e invece nell’Odissea ci sono tante altre voci. Dietro questa costante stilistica, si nasconde il desiderio di creare una rete. Inoltre c’è un’esigenza pratica, soprattutto nell’Odissea, cioè quella di inserire le voci delle donne che incontrano Ulisse, ma che non stanno sempre con lui. Quindi la narrazione si trasferisce tra varie donne, vicine a lui in diversi momenti. Peculiare l’inserimento della voce della nutrice, Euriclea, una donna umile e mortale che ha allevato Ulisse e Telemaco.
Nell’Eneide, oltre Didone che è la grande narratrice, inserisce Giunone e Venere che sono nemiche in Virgilio. Marilù le riprende con la speranza di realizzare una sorellanza, ma riesce a farle collaborare solo nel creare l’occasione che permetterà ad Enea di unirsi a Didone. Durante una battuta di caccia arriva un temporale e i due sono costretti a ripararsi in una grotta, in cui avviene l’amplesso.
Venere, essendo dea della bellezza, viene descritta in modo cangiante, perché la bellezza è soggettiva quindi non sempre uguale. L’autrice ha deciso di caratterizzarla attraverso il cambiamento della natura al suo arrivo, rendendola simbolo della ciclicità e della fertilità.

La dedica finale a tutte le donne

Margaret Atwood ha realizzato una riscrittura dell’Odissea dal punto di vista di Penelope. La mitologia giunta fino ai nostri giorni ha infatti degli elementi di brutalità e vede al centro soprattutto la figura maschile. Riscrivere queste storie dal punto di vista di Penelope o di altre donne, assume quindi un significato non solo narrativo, ma anche politico. Marilù Oliva ne è ben conscia, come dimostra la dedica del suo libro che ha letto a tutti gli astanti:

“Non sei obbligata a tacere, a far finta di niente.
A diventare sottile sottile, quasi invisibile.
A stringerti elegante. A non invecchiare. A scintillare.
Ad accettare per paura che.
A rinnegare la solitudine.
A trasformare le grida in cristalli.
A rinunciare. Ai sogni. Alle acrobazie. Alle stelle.
Sono là che ti aspettano, chi ti ostacola lo sa.
C’è un soffio di Didone in tutte noi.”

CONDIVIDI!