Amore

In principio fu il Simposio di Platone. Interrogarsi su che cos’è l’amore è occupazione da filosofi, da amanti in primo luogo del sapere.

Alla fine, la risposta più convincente la dà Socrate, umile portavoce della veggente Diotima: né dio né mortale, Amore è un povero che sogna la ricchezza, un brutto che sogna la bellezza, una creatura senza casa che sogna l’appartenenza.

L’irrazionalità dell’amore

Per amare occorre mancare: solo nella ferita della privazione può attecchire il desiderio d’amore, desiderio che è sempre uno slancio o una tensione, la ricerca di qualcosa che non c’è, qualcosa di cui ci si sente dolorosamente amputati. 

Non è facile ragionare d’amore, razionalizzarlo, perché è irriducibile a ragione: non può essere limitato al bisogno né all’istinto di natura, non si comprende né con la filosofia né con la scienza.

Lo scrittore argentino naturalizzato francese Julio Cortázar scrisse una volta che in materia d’amore bisogna rivolgersi solo ai pazzi e non “chiedere d’amore agli intelligenti perché essi amano intelligentemente, che è come non aver amato mai”. 

Solitudine e frammentazione dell’amore

Schopenhauer aveva posto la questione in termini dilemmatici: una compagnia di porcospini deve scegliere tra sentire freddo o sentire dolore, perché stando vicini si pungerebbero a vicenda e, per questo, soffrirebbero.

Solo la giusta distanza consente loro di non provare né dolore né freddo. Ma per gli uomini non è così facile trovare la giusta distanza.

La solitudine fa raggelare, l’intimità ci inchioda alla fragilità, ci espone all’angoscia di saperci vulnerabili di fronte all’altro, ma la via di mezzo, a volte, è percorribile solo come astrazione.

Roland Barthes disarticola il discorso amoroso in frammenti perché solo frammentaria e, in qualche modo, approssimativa può essere la scrittura dell’amore.

Traduce l’oggetto dell’investigazione in parole, si avvicina alla sua verità, ma non può catturarla fino in fondo, resta un lembo inevitabilmente scoperto.

L’attesa che non si può attendere

Se lo psicologo tedesco Erich Fromm crede che l’amore sia un’arte per possedere, la quale occorre prima conoscere se stessi, accontentarsi di sé e donarsi all’altro senza adottare logiche di scambio, Massimo Recalcati, interpreta l’incontro d’amore come un miracolo, qualcosa che si attende e che è, però, paradossalmente impossibile da attendere.

“non sappiamo né dove, né come, né quando attenderlo. Non sappiamo nemmeno se mai accadrà. L’incontro somiglia a quello che i matematici chiamano incognita: non si lascia decifrare, non si lascia manipolare, sfugge a ogni principio di determinazione”. (Massimo Recalcati, Mantieni il Bacio, Feltrinelli – l’autore, Premio Passaggi 2019, ha svolto una lectio magistrali durante l’edizione di Passaggi Festival).

È quel sentimento che Michail Bulgakov, ne Il maestro e il Margherita, definisce come un violento imprevisto, «come un assassino che sbuchi all’improvviso, e ci pugnala entrambi. Così colpisce il fulmine, così colpisce la lama finnica”.  

Poesia, l’arte più vicina all’amore

Ma forse i poeti più di tutti si sono avvicinati alla risoluzione dell’enigma, ciascuno dalla sua particolare angolazione.

Charles Bukowski rifiutava di considerarlo una questione a due, perché l’amore è soprattutto la bellezza nascosta nel sudiciume, il lampo salvifico nella disperazione del vizio:

amore non è altro che un faro di notte che fende la nebbia / una chiave di casa tua persa quando sei sbronzo / amore è tutti i gatti spiaccicati dell’universo / è una sigaretta col filtro ficcata in bocca e accesa dalla parte sbagliata”.

Dell’amore non si sa niente, non è possibile sapere niente. Più di tutti questo lo aveva capito Catullo, colui che dell’amore ha scritto in assoluto più brevemente:

“odio e amo. Forse chiederai come sia possibile; non so, ma è proprio così e mi tormento”.

Il poeta si tormenta non perché non sia in grado di capire se prova odio o amore (sa bene di provarli entrambi, non sono forse la stessa cosa?) né per il fatto di provarli.

Piuttosto perché sa che mai potrà dell’amore, che l’ossessiona così tanto, sapere cosa sia, perché sa che non potrà mai piegarlo del tutto nemmeno ai suoi versi più ispirati.

Accetta lo scacco e sullo scacco, sull’impossibilità di sapere dell’amore, costruisce la sua poesia più bella: un’ode all’impotenza dell’amante, alla sua familiarità con il nonsenso.  

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