Vincenzo Visco Passaggi Festival

Martedì 22 giugno, protagonista del secondo incontro di Passaggi di Economia è stato Vincenzo Visco, professore di scienza delle finanze all’Università di Pisa, alla LUISS e all’Università Sapienza di Roma e più volte Ministro delle Finanze e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. L’ospite, conversando con Andrea D’Ortenzio (Capo Servizio Economia Ansa), ha presentato La guerra delle tasse, edito da Laterza e scritto a quattro mani con Giovanna Faggionato.

 

I tributi: “l’essenza della vita della società

Fin dalla nascita di una convivenza si creano bisogni collettivi da soddisfare, come la predisposizione di un’amministrazione e la costruzione della città. Per fare ciò sono necessarie risorse, che si ottengono attraverso i tributi, “l’essenza della vita della società”, inizialmente riscossi presso tutti i cittadini.
Poi le cose si sono complicate: si è iniziato a differenziare la capacità contributiva e si sono create gerarchie. Le tasse sono diventate uno strumento con cui le classi privilegiate si appropriavano delle ricchezze collettive. L’Impero Romano era un enorme estensione coinvolgente popoli stranieri e solo questi pagavano il “tributum”, non gravava alcun onere fiscale sui cittadini romani. Nel medioevo le tasse erano pagate dai contadini, nella forma delle corveé gratuite e dei dazi sullo spostamento di merci. Il clero e i nobili non erano tenuti ad alcun contributo.

 

Un cambio di rotta

Questo sistema è stato applicato fino a quando il popolo si è ribellato al suono di “no taxation without representation”, con cui ha iniziato a diffondersi l’idea liberale. Un vero e proprio cambio di rotta si è avuto solo a seguito della Seconda Guerra Mondiale. Le classi dirigenti si sono rese conto di dovere qualcosa alla gente comune, dal momento che aveva sopportato la leva obbligatoria e la morte, e sono stati così predisposti i primi sistemi di welfare. La tensione fiscale, che fino a quel momento si era sempre aggirata attorno al 15%, si è innalzata drasticamente, arrivando al 40-50%. Con il welfare si è creato un enorme meccanismo di redistribuzione. Chi ha di più paga di più e le risorse vengono poi redistribuite con servizi offerti a tutti in egual modo; si crea, quindi, un notevole beneficio per i soggetti più poveri. Questo sistema è stato applicato senza contrasti fino alla caduta del muro di Berlino, con cui è iniziata la “guerra alle tasse”, portata avanti dai governi di destra, per primo quello Thatcher.

 

Equità verticale e orizzontale

Alcuni partiti italiani, nella presentazione dei propri progetti politici, dissociano completamente i servizi pubblici dalle tasse, promettendo un taglio di queste ultime senza evidenziare che, inevitabilmente, seguirà un corrispondete taglio dei primi. Ad esempio, l’attuale governo ha lasciato gli stanziamenti nella sanità ai livelli dello scorso anno, nonostante i prezzi siano saliti del 10%.
Il problema del fisco italiano oggi è la terribile disparità di trattamento dei contribuenti a parità di reddito. Ci troviamo in una situazione di totale discrezionalità e abuso.
Sono due i principi fondamentali richiamati dagli economisti in ambito fiscale: l’equità verticale, che consiste nella progressività del sistema delle imposte, sancito dall’articolo 53 della Costituzione italiana, e l’equità orizzontale, in ragione della quale a parità di condizioni il trattamento dei contribuenti deve essere lo stesso. Questo secondo principio non è contenuto nell’articolo 53 della nostra legge fondamentale, per ottenerne tutela è necessario riferirsi indirettamente al principio generale di uguaglianza all’articolo 3.

 

Chi evade di più?

I redditi da lavoro dipendente sono tassati attraverso il meccanismo della ritenuta alla fonte, ne segue che l’evasione su tali risorse rispetto all’evasione totale è limitata, si aggira attorno al 3-4% ed è riconducibile principalmente al lavoro in nero. L’evasione delle società soggette ad IRES è circa il 10-15%, in massima parte attribuibile alle piccole società per azioni a controllo familiare; le grandi imprese per motivi organizzativi tendono ad eludere, ma non ad evadere. I contribuenti persone fisiche il cui reddito è principalmente da lavoro autonomo o da capitale evadono in media il 70% dei propri redditi. Gli ultimi governi hanno riconosciuto tali soggetti come “perseguitati dal fisco” e hanno quindi previsto regimi forfettari sostituitivi. La conseguenza di questo scenario è che su un reddito di eguale entità l’imposta pagata dai lavoratori dipendenti si aggira intorno al 30% del reddito stesso, mentre i lavoratori autonomi corrispondono come tributo solo il 4%.

 

Redistribuire i prelievi

Secondo il professor Visco, tassare il patrimonio ha effetti economici migliori rispetto alla tassazione del reddito. Attualmente si registra un eccesso di tassazione sui redditi compresi tra i 15.000 e i 70.000/80.000 euro. In questa fascia, che corrisponde alla classe media, l’onere tributario è troppo elevato.
In alternativa a questa forte imposizione dei redditi medi, il gettito dovrebbe essere, innanzitutto, recuperato dall’evasione. Poi, sarebbe opportuno tassare maggiormente i redditi da capitali, come quelli rappresentati da rendite finanziare e interessi attivi. È necessaria una redistribuzione dei prelievi che più incidono sulla produzione, ossia le imposte sui redditi e i contributi sociali.

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