Giovedì 27 Agosto, presso la Sala da tè L’Uccellin bel verde, si è tenuto il primo incontro della rassegna Calici di scienza con l’Università di Camerino, dal titolo: Istruzioni per non restare senza architettura, tenuto da Pippo Ciorra. Il pubblico ha potuto così seguire l’intervento, gustando un aperitivo offerto dalla Sala da tè e Passaggi festival.

Il futuro dell’architettura

Pippo Ciorra è un architetto originario di Roma, nonché tra le tante cose docente di architettura presso l’Università degli studi di Camerino e senior curator del museo Maxxi di Roma. Come curatore si è spesso interessato alle emozioni che l’architettura suscita nelle persone. Da tanti anni il docente è impegnato in una battaglia per salvare l’architettura da una crisi che ormai dura da anni e che lo hanno spinto a scrivere nel 2011 il saggio: Senza architettura. Le ragioni di una crisi, edito dalla Casa editrice Laterza.

Innovazione e cambiamento

Per Ciorra si è diffusa, oggi, una certa sfiducia verso la figura dell’architetto, che deriva da una frattura, un gap venutosi a creare tra la società e gli stessi architetti. Questa crisi, cominciata probabilmente negli anni settanta, nasce da diversi fattori (dieci in particolare), che l’autore raccoglie all’interno del saggio, uno per ogni capitolo. Il primo problema che Ciorra individua riguarda il rapporto dell’architettura italiana con quella di altri paesi stranieri, spesso molto più aperti al cambiamento e all’innovazione. Nel saggio, l’ordine professionale viene descritto come una massa senza potere e poco organizzato, in cui la troppa concorrenza porta ad un abbassamento della qualità. Oggi invece, la situazione è quella di un drammatico calo delle iscrizioni alle facoltà di architettura. Il terzo problema riguarda il gap legato all’insegnamento che esiste tra le università italiane e quelle straniere. Questo divario sta fortunatamente diminuendo, nonostante la parola innovazione faccia ancora paura e vi sia un generale problema di organizzazione.

La città e i cittadini

Quello della città è un tema molto caro al docente, per cui gli architetti dovrebbero osservare e capire come le persone vivono all’interno della città e cambiare la disciplina rispetto al contesto. Un altro tema fondamentale è quello della politica. Per Ciorra l’architettura dovrebbe mantenere il suo legame con la sfera politica. L’estrema ideologizzazione però, tipica degli anni sessanta e settanta, ha contribuito a creare il gap tra la società e gli architetti sopraccitato, spingendo le persone a rivolgersi maggiormente verso altre figure professionali, come gli ingegneri.

“L’architettura è la missione di produrre significato attraverso la forma. Questa forma interagisce con la vita personale, collettiva, politica e sociale delle persone”

Critica, editoria, media e «architeinment»

All’interno del saggio, Ciorra lamenta l’assenza della critica italiana, scomparsa in seguito all’avvento della cultura di massa e dei grandi giornali dopo gli anni cinquanta. Egli critica inoltre, l’uso da parte degli architetti di un linguaggio troppo lontano da quello delle persone, la mancanza di un verbo comune che faciliti la comunicazione e che permetta di farsi capire. Oggigiorno, secondo l’autore, l’editoria d’architettura è un fantasma; tutto arriva su internet, mentre per quanto riguarda i media, questi preferiscono dare maggior spazio alle interviste con i grandi maestri. Un’altra tendenza odierna dell’architettura è quella di trasformarsi in intrattenimento, il cosiddetto «architeinment». Gallerie, centri di ricerca e musei che ormai non affrontano più l’architettura con l’idea di cambiare qualcosa nello spazio della vita delle persone, sacrificando così la teoria e il pensiero più solido, in nome del puro intrattenimento.

Arte e tecnologia

Secondo il professore, ciò che manca da sempre all’interno del mondo dell’architettura italiana, è l’arte. Dagli anni cinquanta in poi gli studenti di architettura italiani non hanno avuto contatti con l’arte contemporanea. L’architettura, secondo i teorici, doveva essere pura, l’arte era proibita poiché i grandi già si sentivano artisti (situazione molto diversa all’estero). L’ultimo capitolo del libro, incentrato sulla tecnologia, offre l’occasione di riflettere su una questione: che cosa deve essere l’architettura oggi. In alcune facoltà di architettura si insegna soltanto l’uso della tecnologia, dove gli architetti costruiscono robot. In altre università gli studi si concentrano principalmente sui “big data”, oppure sull’ecologia. Il docente vede un esplosione del mestiere di architetto in tanti campi che lo mettono in competizione, però, con altre figure professionali molto più adatte e che potrebbe determinare un giorno, proprio la morte di questa professione.

Superare la crisi

Il messaggio di Pippo Ciorra è semplice: «Ci deve essere sempre un minimo di “erotismo” proprio nell’atto del progetto, cioè di provare piacere nel considerare il disegno dello spazio il tuo linguaggio e raggiungere questi obiettivi che sono la sensibilità ecologica, la consapevolezza del potenziale della tecnologia, riconducendo il tutto a quella cosa che sa fare solo un architetto, mettere tutte queste cose insieme, dentro ad una forma». Questa è la grande battaglia che oggi deve affrontare l’architettura italiana. Per il docente è importante che l’architetto per prima cosa si diverta e mantenere comunque un proprio baricentro. L’architettura è esogena, nasce dai problemi, dallo spazio e dai bisogni delle persone, tuttavia deve trovare poi un punto di incontro tra il linguaggio artistico e il bisogno delle persone.

Le soluzioni individuate

La prima risposta che Pippo Ciorra ha dato a tutti questi problemi è stata attraverso una mostra al Maxxi, chiamata Re-Cycle. Il tema nasce dalla volontà di costruire oggetti dal nuovo, che nascessero dal conflitto tra vecchio e nuovo. La seconda risposta invece è quella di ripartire dalle case, idea espressa attraverso una mostra sull’architettura giapponese, dove per prima cosa gli architetti lavorano sulle persone, interessandosi allo spazio e all’uso dello spazio che ne faranno. Per salvare la propria professione, secondo Ciorra, gli architetti italiani dovranno fare proprio questo, riavvicinarsi ai bisogni delle persone.

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