La chiesa di San Francesco si illumina di poesia per l’ultima volta in questa edizione di Passaggi Festival, ospitando la poetessa Mariangela Gualtieri che presenta “QUANDO NON MORIVO”, raccolta poetica che propone con armonia una possibilità di conciliazione con la vita. Conversa  con Roberto Galaverni, critico letterario del corriere.

Un sovvertimento dei canoni poetici tradizionali

Il motore dell’incontro sono le riflessioni da cui scaturiscono poi molteplici spunti, non viene mandato avanti prevalentemente da domande. Il primo spunto lo offre Roberto Galaverni, che nota come la poetica di Mariangela si stacchi dal filone “negativo, pessimistico” del 900 come quella di Caproni o Zanzotto. La Gualtieri possiede un modo diverso di concepire la poesia, affermando infatti che la sua più grande sfida sia quella di comporre versi che facciano credere nella possibilità di riconciliazione con la propria vita, versi in grado di spingerci verso l’armonia poiché la poesia è quel luogo meraviglioso in cui si è selvaggi ma allo stesso tempo ragionevoli.  Un poeta sa che vivere spesso significa anche soffrire, e dunque come conservare quella convinzione che nella nostra esistenza ci sia ancora un filo buono? “Non tenendo gli occhi chiusi, riuscendo a percepire delle frequenze positive riconoscendone l’energia, che contempla l’accettazione della morte” , Esordisce lei.

La ciclicità della vita e la fecondità nella scrittura

Nei suoi componimenti è forte il senso di nascita, di morte e di vite che si danno la mano, conferendo continuamente quella ciclicità dell’esistenza che si rispecchia nella poesia: le caratteristiche espressiva più frequenti sono la dinamicità e la scorrevolezza dei paesaggi che non sono mai statici. Per quanto riguarda i personaggi e le parole, sono volutamente fecondi e gioiosi e trasudano vita ed armonia: sono riscontrabili piante come nel componimento “il quotidiano innamoramento” (in cui il richiamo alla natura è frequente) , bambini di cui ci parla durante la lettura di “divinità domestiche” , e animali con i quali chiuderà l’evento. Inoltre la poetessa tende a non presentare maggiormente un singolo individuo, ma tutta la specie umana.

Il cammino da attrice a poetessa

Galaverni le chiede quale vento l’avesse spinta ad approdare verso il mondo della poesia, quando il suo destino come attrice era già chiaro e segnato. La donna risponde spiegando che il lavoro da attrice le dava inquietudine, non le piaceva. La colpì poi la malattia che la mise in ginocchio “E in quel vuoto mi si sono aperte le mani che tenevo sempre aggrappate a qualcosa, e nelle mani vuote è giunta la poesia”. La sua condizione da inferma fu quasi un miracoloso risveglio, un evento che segnò la sua vita e il suo modo di concepirla: da quel momento in poi, spiega lei, divenne calamita per i termini che inserisce poi nella sua poesia, “non prendevo le parole, erano le parole a prendere me.”
Ammette anche che il suo grande maestro è stato Dante Alighieri, per l’esattezza è stata folgorata dalla capacità del poeta fiorentino di narrare il paradiso e di descrivere l’amore come quella grande forza che “move il sole e l’altre stelle” : da ciò apprende una lezione che concretizza nel “narrare il paradiso” utilizzando le parole più umili.

Il requiem e la sua “rivisitazione”

Possiamo immaginarci la poetessa Gualtieri seduta per terra (è così che confessa di scrivere) che tenta un approccio diverso all’imponente e colossale requiem, testo solenne ed inquietante per i defunti. “Ho deciso di comporre una poesia che non vuole ricordare i morti con le palpebre sigillate per sempre” afferma lei prima di leggere il suo componimento. Anche in questo caso, la leggerezza cerca di insinuarsi in questo baluardo così solenne, mitigando ed attenuando quell’idea asfissiante dell’eterno riposo. Innanzitutto è bene chiarire che  originariamente questa rivisitazione è stata dedicata ai morti del terremoto dell’italia centrale, ma in questo frangente la donna lo dedica ai morti di questo tempo. Segue la lettura: l’augurio che trapela da queste parole così calde e consolatorie è quello di un’adesione da parte dei defunti a tutto ciò che ci circonda, come negli elementi della natura, nella risata di un bambino, nelle piccole cose.

L’attenzione è la preghiera spontanea dell’anima

Galaverni le chiede di riflettere su un ultimo spunto prima di concludere l’evento :”Nel requiem ti auto-accusi di disattenzione, ma la poesia non è una forma altissima di attenzione?” Effettivamente è così, inoltre la poetessa aggiunge che ciò che si scrive, si incanala solo dopo averne concluso la scrittura. Conclude la risposta alla domanda con la lettura del componimento “fiore” , che ha come protagonista appunto l’attenzione che va riservata ad ogni cosa.
L’evento si avvia alla conclusione con la lettura di due poesie che la Gualtieri definisce “stizzite”, in quanto composte durante un periodo poco felice, e infine alcune poesie sul mondo animale.

 

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