Premio don Diana a Nando dalla Chiesa Passaggi-Festival-FanoIl 19 marzo 1994 a Casal di Principe, nella sacrestia della sua chiesa di San Nicola di Bari, veniva ucciso don Giuseppe Diana, mentre si preparava per celebrare la messa.
Ogni anno il Comitato che porta il nome del sacerdote e che è nato per ricordare il suo impegno contro la criminalità organizzata conferisce il “Premio don Diana – Per Amore del mio Popolo”.

Lo scorso 21 marzo 2021 il premio è stato assegnato a Don Franco Monterubbianesi, a Rosario Esposito La Rossa e a Nando dalla Chiesa, professore e scrittore, direttore dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli Studi di Milano e presidente del Comitato scientifico di Passaggi Festival.
Un nuovo riconoscimento, uno dei tanti, verrebe da dire, conferiti al professor dalla Chiesa, ma in realtà non è così, perché questo premio e le motivazioni con cui è assegnato sono direttamente collegati ai valori che hanno mosso l’opera di don Diana e ne sottolineano l’importanza del suo impegno e la forza del suo esempio.

La parola di un prete contro la prepotenza dei casalesi

Quale significato ha il “Premio don Diana – Per Amore del mio Popolo” nella sua vita professionale?

Il “Premio don Peppe Diana – Per Amore del mio Popolo” ha per me un significato altissimo. Prima di tutto per la grandezza morale della figura a cui è intitolato. Di don Peppe si può davvero dire che abbia fecondato la sua terra con il proprio sangue. Contrapporsi ai clan casalesi nel momento della loro forza incontrollata, delle loro estese complicità con le stesse forze dell’ordine (come dimostrarono le inchieste della Dda di Napoli), fu davvero un atto di amore verso il proprio popolo, un atto di testimonianza evangelica e civile con pochi eguali. In più io ho un legame affettivo con quella terra. Scrissi dei casalesi già nel 1989, scrissi anche su un ‘eroico’ quotidiano locale che si chiamava ‘Lo Spettro’, ho lì amici cari che ho cercato sempre di affiancare, nel 2015 portai a Casale 30 studenti per la mia università itinerante. Insomma, per me è anche un riconoscimento di grande valore affettivo. Uno dei riconoscimenti più belli ricevuti nella mia vita. Non che siano stati tanti, però tutti disinteressati, dunque tutti belli. Ecco, questo ha una luce particolare.

L’impegno di Don Diana può essere ancora un modello? Cosa ci insegna il suo pensiero?

L’impegno di don Diana ci insegna che anche se non abbiamo manette e mandati di arresto nel nostro zaino, ci troviamo però tante cose che possono ugualmente contribuire a contrastare il crimine organizzato, a liberare in parte il Paese da questa zavorra, mista di prepotenza e di vigliaccheria. Don Peppe è morto quando ancora non avevamo fatto capire a sufficienza che un popolo può reagire alla violenza, che non se ne fa intimidire. Anche il prete un giorno considerato innocuo, il prete che ‘tanto fa solo prediche’, può costituire con la sua parola una minaccia per i poteri armati. Questo bisogna imparare dalla vicenda di don Diana. Figurarsi quando si sommano le parole dei tanti, con la stessa forza, la stessa continuità.

Nando Dalla ChiesaPremio Don Diana: raccontare l’esperienza del sacerdote per contrastare la camorra

Uno sceneggiato televisivo (Per amore del mio popolo, 2014) ha raccontato la vita di Don Diana. Secondo Lei queste forme di divulgazione sono utili a creare una maggiore consapevolezza nei cittadini o sono semplificazioni eccessive di problemi complessi?
Le forme di divulgazione televisiva e cinematografica sono sempre utili se rispettano la verità, perfino quando concedono qualcosa (“qualcosa”, non troppo) alla retorica. Perché aiutano a far sapere, a ricordare, a coltivare la memoria, a rendere omaggio davanti ai cittadini, davanti ai più giovani. Premesso questo, io credo che chi si impegna in queste opere di rappresentazione e narrazione, debba avere sempre presente che la qualità artistica non è mai ininfluente sui risultati. Non basta la verità. Occorre anche saperla rendere con tutte le sfumature, le drammaticità, le sensibilità che vi si incontrano e confrontano. La vita di questi protagonisti è un concentrato di dilemmi, di interrogativi radicali, di rinunce, di scelte, sofferenze e gioie, che va avvicinato con lo scrupolo e la delicatezza che fanno grande un regista o un narratore civile.

In questo momento storico, quale influenza può esercitare l’organizzazione criminale della camorra?
In questo momento storico le organizzazioni mafiose tendono a recuperare spazio. Sia per le opportunità concesse dalla pandemia, di cui si parla ormai da tempo, e sulle quali sarebbe opportuno intervenire con una energica azione di contrasto affidata ai nostri migliori funzionari anziché a nuove carte e nuove ingessature burocratiche. Sia anche perché il crollo di socialità prodotto dal lockdown ha indubbiamente avvantaggiato, pure sul piano della attenzione culturale, le varie manifestazioni mafiose, a partire dalle più forti. I contesti sociali in cui mette radici la camorra appaiono poi oggi più ospitali per le vite precarie, per i diseredati della crisi. C’è bisogno di una forte azione di supplenza rispetto alle istituzioni ufficiali. C’è bisogno di tanti ‘piccoli’ don Peppe Diana.

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