Bruna Cases, Passaggi Festival, 2022

Nella raccolta atmosfera del cortile interno della Mediateca Montanari Memo, Bruna Cases, affiancata dal marito Giordano d’Urbino, presenta il suo libro “Sulle ali della speranza. Il mio diario di bambina in fuga dalla Shoah“, edito da Il battello a vapore. A conversare con l’autrice, Valeria Patregnani, direttrice del Sistema Bibliotecario di Fano e curatrice della rassegna “Piccoli asSaggi di Passaggi Festival. 

La nascita del Diario

Già dal titolo stesso del libro si può comprendere quanto il tema presentato sia impegnativo. Nonostante ciò, si tratta di una tematica che non manca di essere ricordata nelle scuole, in cui spesso Bruna Cases ed il marito Giordano D’Urbino sono ospiti, per raccontare,  attraverso la propria esperienza personale, il razzismo e le leggi razziali. Bruna Cases afferma che la nascita del libro ha avuto origine da un diario che lei stessa iniziò a scrivere all’età di nove anni e che, nel tempo, è riuscita a conservare. Il suo diario, ha evidenziato, è diverso da quello tenuto da Anna Frank, poiché non era un suo amico o confidente, ma semplicemente delle pagine bianche e vuote su cui riportare i suoi pensieri e gli “insoliti” avvenimenti della giornata. Oggi conservato all’interno del Museo Commemorativo dell’Olocausto di Washington DC, continuando così a mantenerne viva la memoria. Successivamente, è stato anche pubblicato nella versione digitale all’interno del Corriere della Sera, che ha dato modo all’editore di entrare a contatto con l’esperienza della Cases e prendere poi la decisione di volerne realizzare un libro. La narrazione è stata curata da Anna Spinelli, la quale, oltre ad aver ricavato le informazioni dal diario, è stata affiancata dalla stessa Cases, portando avanti incontri durante il periodo del Covid, settimana dopo settimana. Inoltre, all’interno del libro sono presenti foto e riproduzioni fotografiche, dal momento che, come afferma la stessa Cases, il libro vuole essere una narrazione fedele di ciò che è realmente accaduto ed apparire, quindi, come una testimonianza.

Per un sì o per un no

In seguito all’avvincente racconto della signora Cases, suo marito Giordano si sofferma a riflettere sull’importanza della vita. Sabato 25 luglio 2022, entrambi possono essere presenti a Passaggi Festival per ricordare il loro passato solamente grazie a una serie di circostanze fortunate. Infatti, citando un verso della meravigliosa poesia di Primo Levi, “Se questo è un uomo”, l’interlocutore evidenzia come durante la dittatura nazista la sopravvivenza umana dipendesse da un sì o da un no. La conferma di ciò arriva dal racconto di sua moglie, che ricorda quando alla dogana svizzera tre ragazzi furono rimandati indietro per poi essere deportati ad Auschwitz. Tutto cominciò nel 1938 quando l’emanazione delle leggi raziali portò alla considerazione degli ebrei come razza inferiore. Da questo momento in poi, afferma Giordano, essi divennero “sotto persone” nei campi di lavoro e, infine, cose nei campi di sterminio. Qui, privati di qualsiasi caratteristica umana, diventarono numeri, simboli della più totale disumanizzazione e alienazione. Considerare ognuno di loro un pezzo e non una persona era l’espediente con cui i loro assassini giustificavano se stessi per quello che stavano compiendo. Oggi, i due coniugi sostengono che per evitare che un fenomeno di tal genere possa riabbattersi sulle nostre vite è fondamentale preservare la memoria. Ma, non una memoria sterile come può essere quella di un computer che immagazzina solamente informazioni. Con il termine “memoria” ci si riferisce alle sensazioni ed emozioni interiori che sono state maturate grazie alle proprie esperienze personali. L’amarezza, il dolore, il sentimento di isolamento ed esclusione, l’umiliazione e la denigrazione, queste sono le cose che devono essere ricordate. È attraverso questo tipo di memoria che Bruna Cases e suo marito provano compassione e comprensione per chi non ha una dimora e scappa per migliorare o, addirittura, salvare la propria vita e quella dei suoi cari. Entrambi sono stati perseguitati, entrambi sono stati fuggitivi, entrambi sono stati profughi in un paese che li ha accolti da immigrati. Per loro accogliere, oltre ad essere un atto di umanità, è un dovere. Hanno ricevuto il male, ma hanno deciso di non ricambiarlo e di proteggere chi ne ha più bisogno perché come recita la Bibbia.

“Rispettate lo straniero poiché voi siete stati stranieri in terra d’Egitto”.

Un viaggio nei ricordi

Gli occhi di Bruna Cases luccicano nel momento in cui inizia a ricordare e condividere come tutto è iniziato: le leggi razziali iniziano che lei aveva solo quattro anni e, se da un lato lei non ha subito ripercussioni in prima persona, dall’altro la sua famiglia ne ha risentito fortemente, anche dal punto di vista economico, essendo stato il padre privato del suo ruolo di avvocato. Successivamente vi è stato l’inizio della guerra, accompagnato dagli sfollamenti e dai bombardamenti. La Cases afferma di essere diventata adulta con l’armistizio, l’8 settembre del ’43, anno in cui ha cominciato a doversi nascondere: fino a quel momento le leggi razziali erano state solamente restrizioni, ma con l’arrivo dei tedeschi il vero problema divenne riuscire a restare in vita. Così cominciò la fuga per la salvezza verso la Svizzera, rinchiusi in un vagoncino serrato, all’interno del quale entravano sempre più ebrei. Prima di giungere in Svizzera si fermarono presso una cascina: proprio in questo luogo la Cases ha iniziato a scrivere, all’interno di bigliettini, che poi ha radunato in quello che è diventato il suo importante diario, della sua esperienza e del terrore che accompagnava le loro giornate. Il passaggio in Svizzera è poi proseguito attraverso lunghe passeggiate nel freddo dei boschi, nascosti ed aiutati da contrabbandieri, coloro che riuscirono ad eliminare le campanelle che facevano risuonare la rete attraverso la quale dovevano passare la Cases e gli altri fuggitivi. Da questo momento inizia la sua storia in Svizzera, presso i campi militari controllati da sentinelle costantemente abbracciate ad un fucile. La convinzione comune, che risiedeva soprattutto nella speranza di una vita migliore, era quella che, una volta giunti in Svizzera, vi sarebbe stata la possibilità di condurre una vita normale, ma di normale non vi era nulla, non solo per gli ebrei, ma anche per gli stessi svizzeri. Ciò che notò particolarmente Bruna Cases fu la forte mancanza di sensibilità, che risaltò particolarmente quando il padre si ammalò ai polmoni e dovette essere operato. Bruna Cases conclude la sua narrazione con il ricordo del 25 aprile, Festa della Liberazione, quando finalmente tornarono in Italia e festeggiarono con festoni tricolore.

Studiare, unica salvezza del mondo

Vi è una frase del Talmud, uno dei testi sacri dell’ebraismo, che recita:

“Il mondo si regge sul fiato dei bambini che vanno a scuola”.

Da questa frase si evince l’importanza che la cultura e l’istruzione hanno sempre avuto per il popolo ebraico. Anche in quei periodi storici in cui i popoli erano costituiti per la maggior parte da analfabeti, gli ebrei studiavano. Tuttavia, nella cultura ebraica, così come tiene a precisare Giordano, non si impartisce ai giovani un tipo di studio mnemonico o nozionistico, al contrario, le nuove generazioni vengono abituate sempre di più a porsi domande e a interrogarsi sul perché delle cose. Per gli ebrei farsi domande è più importante che darsi risposte. In altre parole, il messaggio che Bruna Cases e suo marito vogliono trasmettere al giovane pubblico di Passaggi Festival, in base a quanto affermato dal Talmud, è questo: l’equilibrio del mondo è instabile, fragile, precario per basarsi sul fiato dei bambini, ma allo stesso tempo il fiato dei bambini che studiano deve essere fortissimo per poter reggere l’equilibrio del mondo.

 

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