Paolo Nori, Passaggi Festival 2023

Paolo Nori è uno scrittore e traduttore dal russo all’italiano. Si è laureato in “Lingua e Letteratura Russa” presso l’Università degli Studi di Parma ed ha così cominciato a pubblicare i suoi scritti influenzati dalle correnti avanguardistiche russe. Collabora con alcuni quotidiani tra cui Libero, Il Foglio e Il Fatto Quotidiano, ed ha un blog su Il Post. Dal 2018 è professore alla IULM di Milano dove detiene la cattedra nel corso di “Traduzione editoriale: narrativa e saggistica (Russo I e II). A Passaggi Festival, Paolo Nori presenta, attraverso un monologo con immagini, il suo ultimo libro “Vi avverto che vivo per l’ultima volta. Noi e Anna Achmatova” (Mondadori).

 

 

Qualcuno pensi agli scrittori russi!

Paolo Nori si presenta con grande simpatia ed apparentemente con grande sintonia col pubblico. Fa quasi strano, al giorno d’oggi, sentir parlare di Russia senza nominare le parole Putin, Ucraina e Guerra. Eppure c’era e c’è gente che si è innamorata di questo paese o, meglio, della letteratura di questo paese. Autori come Dostoevskij, Tolstoj, Čechov sembrano essere stati rimossi dall’immaginario comune, finiti in un buco nero senza ritorno, mentalmente bruciati come i libri in “Fahrenheit 451”. Eppure c’è di più, non c’è solo la guerra in Ucraina, quando si parla di Russia, ci deve essere anche un pensiero ai suoi scrittori e poeti che hanno cambiato la storia ed il nostro modo di pensare: libri come “Delitto e Castigo”, “Guerra e pace” e “I fratelli Karamazov” non possono voler dire niente. Sarebbe la sublimazione della “cancel culture”, il suo apice più terrificante e più pericoloso.

 

 

Anna Andreevna Achmatova

L’autore si posiziona sul palco e mostra alcune fotografie scattate in parte da lui ed in parte da un suo collaboratore durante il suo ultimo viaggio in Russia, nell’estate 2022. Lo scopo del viaggio era semplice: documentarsi sulla più grande poeta russa del ‘900, Anna Andreevna Achmatova. La Achmatova fu candidata al premio Nobel per la letteratura nel 1965 e si distinse per essere stata un’assidua oppositrice dello stalinismo, motivo per il quale il suo primo marito fu fucilato e il suo secondo marito e il figlio furono condannati alla detenzione nei gulag. Censure e purghe staliniane hanno tentato di indebolire Anna ma lei ha resistito e resiste ancora, nella nostra memoria. Intanto passano le immagini sul megaschermo dietro Paolo Nori: viene mostrata una donna nobile, molto alta, con il viso affilato ma gentile, quasi distesa su una sedia, è Anna. Achmatova non era nemmeno il suo vero cognome, il padre, infatti, quando seppe che la giovane figlia scriveva poesie provò un tale senso di vergogna che la pose dinnanzi ad un bivio: smettere di scrivere o cambiare cognome. Inutile precisare che cambiare cognome, specialmente all’epoca, significava allontanarsi dalla famiglia, essere esiliata ad un’esistenza senza aiuti né rifugi, rimanere da soli. Anna non si fece indebolire. La Achmatova scelse un altro cognome, quello di una parente della madre, diretta discendente, così si diceva, del Gengis Kahn. Anna cominciò ad usare con sempre più costanza questo cognome come firma sulle sue poesie fino ad usarlo anche in atti ufficiali, diventando Anna Achmatova.

 

 

Il manoscritto

Quando Paolo Nori parla della Achmatova gli si illuminano gli occhi, ne parla come una dea, quasi a venerarla. Descrive il suo modo di far poesia così apparentemente semplice ma al contempo profondo, il suo modo di comportarsi, nobile, quasi che le ingiustizie e i dolori della vita le siano indifferenti, la sfiorino appena. Anna era una donna tremendamente difficile da capire, molti la odiavano e molti l’amavano per questo. Le fotografie scorrono, San Pietroburgo, la città intellettuale della Russia, ancora Anna, la casa della poetessa che oggi è un museo, poi, alla fine, un manoscritto. Alla fine della sua carriera, la Achmatova era poetessa affermata in patria ed all’estero, aveva ricevuto molti premi, tra cui un premio a Taormina consegnatole dal poeta francese Sartre, quello che per lei è stato uno dei più importanti riconoscimenti. Le era stata assegnata una laurea ad honorem in lettere dall’Università di Oxford. In questo periodo, dunque, agli sgoccioli della sua vita, ricevette uno strano manoscritto per posta. Un libricino piccolo, rovinato, con cu scritto qualcosa da una mano non troppo ferma. Questo libricino conteneva delle sue poesie e proveniva da un gulag. Segno del fatto che la poesia di Anna era nelle menti anche di chi si trovava prigioniero del freddo siberiano. Tutti avevano bisogno della sua poesia. Contro ogni censura e dittatura, Anna Achmatova vive nelle menti di chi vuole ricordarla.

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