Un appuntamento con la storia

77 anni fa, la notte tra il 24 e il 25 di luglio 1943 entrava nella storia italiana ed europea. Il Gran Consiglio del Fascismo, convocato d’urgenza, prese atto di come la sconfitta del regime fosse oramai questione di giorni, al massimo settimane, vista la piega che aveva preso il conflitto mondiale. La bilancia, infatti, stava ormai pendendo decisamente dalla parte delle forze alleate. L’Asse stava per essere sconfitta senza appello sul fronte europeo.

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In una celebre foto risalente al 1938, un incontro tra Mussolini e il suo alleato Adolf Hitler. Foto: Istituto Luce

La deposizione di Benito Mussolini e la crisi del fascismo

L’ultima decade di quel luglio fu davvero intensa, in un pugno di giorni si susseguirono agguati, vendette, tradimenti e mosse politiche, non sempre alla luce del sole. I gerarchi avevano capito che il fascismo aveva i giorni contati. La notizia che l’Italia aspettava giunse puntuale nelle prime ore del 25 luglio 1943. Benito Mussolini era stato esautorato. Il Duce, il Fondatore dell’Impero, il Primo Maresciallo dell’Impero Italiano – per riportare tutti i titoli che concentrò sulla sua persona – non era più il Presidente del Consiglio. L’Italia era de facto defascistizzata. Eppure Mussolini restò in carica altri due anni nel Nord del Paese, nella cosiddetta Repubblica di Salò, fondata nel settembre del 1943 e dissolta due anni dopo, con buona pace di tutti gli italiani.

La notizia della destituzione di Mussolini esplose nell’Italia stanca della guerra e della dittatura come il proverbiale fulmine a ciel sereno. L’avvenimento fu accolto con manifestazioni di gioia e cortei spontanei in tutte le principali città italiane e non solo. Si sperava che la data del 25 luglio rappresentasse la fine della guerra per una Nazione sfilacciata e stremata. Si cantava inneggiando alla pace e si sventolavano tricolori con l’effigie dei Savoia, celebrando Vittorio Emanuele III. Il re, però, fu sostanzialmente complice del regime, non avendo mai fatto granché per ostacolare Mussolini. Dopo il Duce, fu deposto anche il monarca.

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Un plotone di militari sorride imbracciando il tricolore con lo stemma dei Savoia. Foto: Wikipedia

Eravamo in realtà ancora piuttosto lontani dalla fine degli strazi italiani nella Seconda Guerra Mondiale. La caduta del fascismo lasciò l’Italia nell’anarchia e l’esercito tedesco disorientato e confuso. La risposta dei soldati del Reich fu un’esplosione di violenza. Le bestie  feroci diventano infatti più pericolose, quando si accorgono di avere le spalle al muro.

Le reazioni alla fine del fascismo

La popolazione italiana, irrequieta e provata dal conflitto, volle rifarsi di un ventennio di abusi e soprusi perpetrati dal regime. Le case del fascio, quei luoghi che avevano rappresentato, nella concretezza dell’architettura, il potere e la crudeltà del fascismo, furono immediatamente prese di mira. Era all’interno di quegli edifici, infatti, che prendevano forma sopraffazioni, violenze gratuite e  bastonamenti squadristi. Era nelle case del fascio che si somministrava olio di ricino agli oppositori, costringendoli poi ad uscire in strada con i segni della purga sui vestiti, come pubblica umiliazione.

Le manifestazioni, in realtà, non durarono che alcune ore, tanto che si parla di breve vacanza di libertà, per riportare il termine coniato dallo storico Paolo Spriano. Eppure bastò a far capire agli alleati, e agli informatori della polizia che lavoravano per loro, come la Nazione avrebbe risposto all’insediamento di un governo antifascista.

La corrente era cambiata in quel luglio 1943. A partire dal giorno 10, con lo sbarco in Sicilia. In tale data iniziò la riconquista americana della penisola. A partire da quel momento, i tedeschi cominciarono a sentirsi degli invasori, traditi dall’alleato italiano, e si diffuse in loro un senso di ineluttabile sconfitta. Le uniformi grigie del Grande Reich cominciarono a capire che per loro non sarebbe finita bene e si abbandonarono alle stragi, alle violenze, ai bombardamenti a tappeto e alle altre note nefandezze. La guerra non è lucida, non è razionale. La guerra è guerra e l’uomo perde la propria umanità.

Il Governo Badoglio I

Il 26 luglio 1943, Pietro Badoglio divenne Presidente del Consiglio. Il suo governo tecnico – militare restò in carica per soli 272 giorni ed ebbe il compito gramo di tenere unito un Paese che era completamente sfilacciato, diviso tra Nord e Sud, fascisti e antifascisti, partigiani e repubblichini.

Il primo governo Badoglio (ne seguì un secondo con l’incarico di sbrigare le pratiche, per così dire, legate al termine del conflitto) soppresse la maggior parte delle istituzioni fasciste e firmò l’armistizio con gli alleati. Il 13 ottobre 1943, Pietro Badoglio dichiarò guerra alla Germania da Brindisi, nuova sede del governo a seguito della resa di Roma ai nazisti.

Mantenere l’ordine

Il Capo di stato maggiore dell’esercito italiano, Mario Roatta, emanò, dopo il giuramento del governo Badoglio, la tristemente nota circolare Roatta. Tramite il documento si impediva di fatto ogni manifestazione inneggiante alla fine del regime, permettendo alle forze armate di reprimerei moti antifascisti con ogni mezzo, violenza compresa. La circolare recita, in un brutale passaggio: “Ogni movimento deve essere inesorabilmente stroncato in origine… si proceda in formazione di combattimento e si faccia fuoco a distanza, anche con mortai e artiglieria senza preavviso di sorta, come se si procedesse contro truppe nemiche.”

Dal 25 al 30 luglio 1943 si ebbero 93 morti, oltre 500 feriti e più di 2.200 arresti. Il generale Roatta, nel 1942 – quando ancora si sognava l’Impero Fascista – aveva dichiarato guerra alla popolazione civile slovena ordinando rappresaglie, incendi di abitazioni e villaggi, esecuzioni sommarie, raccolta e uccisione di ostaggi, internamenti nei campi di concentramento. Ognuna di queste azioni, naturalmente, rappresenta un crimine di guerra. Il clima creato da Roatta e dal governo Badoglio I riportò l’Italia ai moti di Milano del 1898, quando il generale Bava Beccaris rispose agli scioperi degli operai con il piombo dei suoi cannoni.

Le sconfitte del regime

Il nuovo governo si riunì per la prima volta il 27 luglio 1943. La situazione italiana era drammatica. Il Paese era allo sbando, gli italiani avviliti e affamati. Gli animi erano esasperati. Anche chi aveva creduto alla retorica effimera del Duce si era ormai rassegnato. Gli esiti militari avevano rivelato tutta l’inconsistenza e l’inadeguatezza del fascismo. L’esercito italiano era stato sconfitto senza appello nei Balcani, annichilito in Russia e affondato in Africa Settentrionale, dopo che la volpe del deserto, Erwin Rommel, fu ricollocato da Hitler. Le gesta di Bernard Montgomery, leggendario generale britannico, nel continente nero, e il sacrificio di El Alamein avevano profondamente toccato le coscienze italiane.

Monarchia, Chiesa e potenze economiche avevano scelto di liquidare Mussolini. Volevano incolpare il Duce di ogni insuccesso, sperando di garantirsi un’innocenza del tutto immeritata.

Gli appoggi velati al fascismo e la RSI

Questo tentativo alquanto grossolano di lavarsi le coscienze si rivelò presto un’arma a doppio taglio. I tre attori che presero questa decisione avevano tutti appoggiato, chi più chi meno, il regime. Re, papa, imprenditori; chi non era stato direttamente complice del fascismo, ne aveva taciuto le colpe. Mussolini, di fatto, trovò ben poca resistenza nel suo processo di inseguimento del potere.

Fascismo: adunata Balilla

Un’adunata dei giovani Balilla. Foto: Istituto Luce

Il fascismo, inoltre, poteva contare ancora su una buona base di seguaci. I fascisti repubblicani, ad esempio, frangia potente ed organizzata, furono in grado di creare in neppure quaranta giorni la Repubblica Sociale Italiana, con capitale Salò. Lo Stato autonomo resistette militarmente, grazie ad uno dei primi eserciti misti – maschile e femminile – della storia, fino alla liberazione nazionale, quel 25 aprile 1945 che festeggiamo ancora oggi.

I postumi della caduta del fascismo

La vacanza di libertà si dimostrò esattamente tale. Gli italiani sbagliarono i conti sulla forza del fascismo, e probabilmente anche sul loro coinvolgimento nelle sue responsabilità. Il regime, infatti, continuerà a costituire un pesante fardello sulla democrazia italiana negli anni e nei decenni a venire. Ancora oggi siamo testimoni dei suoi strascichi. Il grido “Basta con la guerra, i tedeschi in Germania” che risuonò lungo tutta la penisola il 25 luglio 1943 non diede seguito a nulla. Il governo militare di Badoglio ci mise davvero poco a mostrare la sua faccia peggiore, che probabilmente non fu altro che il suo vero colore.

Il governo del terrore

Già dal primo agosto 1943 i giornali divennero difficilissimi da leggere, pieni di ampi spazi bianchi, figli di una delle più rigide censure mai conosciute nel nostro Paese. I cinema chiudevano dopo aver messo in onda un solo spettacolo, ovviamente approvato dal governo. Pattuglie militari presidiavano ogni ente amministrativo e stabilimento produttivo. Un rigido coprifuoco rese le strade buie e deserte, al calar del sole. Gli unici spiragli di luce giungevano da qualche finestra all’interno della quale si ascoltava, probabilmente, Radio Londra. Furono proibiti assembramenti superiori alle tre persone. L’ordine e il lavoro dovevano continuare ad ogni costo, per decisione dello Stato d’assedio, chiunque scioperasse, era processabile dal tribunale militare, Solitamente la pena per sciopero o istigazione del disordine – la differenza tra i due crimini era piuttosto sottile – consisteva nella fucilazione. Il clima era chiaramente di terrore.

Le famiglie italiane si sentivano schiacciate da una dittatura militare che poco di diverso aveva dal fascismo. Le durissime norme alimentari, i continui allarmi per bombardamento aereo, l’ansia di non conoscere la sorte degli uomini dispersi chissà dove in Europa e la continua censura delle notizie esasperavano la popolazione. Non si tollerava più la diffusa presenza tedesca sul suolo italiano. Né l’esecutivo di Badoglio, né tantomeno la monarchia – oramai svuotata di tutta la sua autorità – riuscivano ad indicare alcuna via d’uscita da un conflitto che aveva dissanguato e stancato.

I partigiani e l’armistizio

La risposta a questa situazione fu la resistenza armata e organizzata al nazifascismo. Le cellule partigiane nacquero in questo clima di profondo sconforto e la loro creazione portò fino a Cassibile, all’armistizio del 3 settembre 1943, reso noto da Radio Algeri 5 giorni dopo. E, naturalmente, a tutte le amare conseguenze per l’Italia intera.

La storia ci dà una data precisa della caduta del fascismo, quella del 25 luglio 1943. La ricordiamo nell’anniversario perché non ci si scordi di che cosa significarono quegli anni per il nostro Paese. Facciamo attenzione ad alcune derive destrorse che riscontriamo nella nostra epoca storica, alcune sono figlie di queste convinzioni. La storia ha il brutto vizio di ripetersi e la memoria storica è l’unico modo per impedirglielo. Chiunque voglia approfondire il ventennio fascista e la sua conclusione, potrà farlo seguendo i consigli di lettura che seguono.

Pagine di storia del fascismo

Esistono numerosi volumi che raccontano l’epopea fascista in Italia. Ve ne sono altrettanti che si concentrano sulla storia e la biografia di Benito Mussolini. La selezione che segue non ha la pretesa di elencare i migliori libri che trattano di fascismo ma vuole semplicemente essere un compendio per chi voglia approfondire le vicende da un punto di vista storico e in chiave antifascista. Vediamo dunque qualche titolo che faccia al caso nostro:

  • Francesco FilippiMussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, Bollati Boringhieri
  • Furio GubettiFASCISMO: Breve storia per giovani ignari e adulti disinformati, I Libri del Borghese
  • Renzo De FeliceBreve storia del fascismo, Mondadori
  • Antonio CariotiAlba Nera. Il fascismo alla conquista del potere, Solferino
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