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“Io Galileo Galilei sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633.”

Così Galilei terminava il proprio atto di abiura in seguito alla messa all’indice del Dialogo sui due massimi sistemi del mondo il 22 giugno del 1663, nel quale si intuisce il suo sostegno alla teoria copernicana per cui “il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova”.

I tempi non erano forse ancora del tutto maturi per aprire lo sguardo sulla verità, l’universo geocentrico legittimava l’antropocentrismo e le teorie di Aristotele apparivano equilibrate e soprattutto incontestabili. “Ipse dixit”, bastava questo, perché voler complicare le cose con inutili esperimenti?

Quando Galilei, animo ribelle in tutti i contesti della vita, ardì a puntare il proprio “cannone-occhiale” non contro il mare per migliorare le strategie belliche, bensì contro il cielo, compì il vero gesto rivoluzionario. Nel romanzo La passione di Artemisia di Susan Vreeland, che ripercorre i passi di Artemisia Gentileschi, si immagina un dialogo tra la pittrice e Galileo, rappresentativo del pensiero dell’epoca:

Mi scrutò brevemente. “Penso che abbiate una mente aperta all’universo visibile, non rattrappita dai dettami delle credenze autorizzate”.

“Il lavoro di un artista, come quello di uno scienziato, è quello di studiare l’universo visibile”. […] “a dispetto di quei teologi che sostengono che Dio non avrebbe permesso ai corpi celesti del nostro sistema planetario di superare il sacro numero di sette. Dobbiamo accettare quello che vedono i nostri occhi” […]

“È incredibile! Una vera e propria rivoluzione. Ci è sempre stato insegnato che tutto ruota intorno a noi. State dicendo che tutto quello che ci dice la nostra Santa Madre Chiesa non è necessariamente vero?” Sollevò le spalle e arricciò le labbra.

“E’ un convincimento audace e pericoloso, signore. Come potete esserne così certo?”

“Da osservazioni condotte nel corso del tempo. E in base alla logica. Se Aristotele tornasse in vita e potessi farlo guardare attraverso le lenti del mio telescopio, farebbe a pezzi le sue pagine.”

Galileo Galilei visse in un contesto rinascimentale, che tuttavia continuava a subire i retaggi medioevali per cui l’istituzione della Chiesa si riteneva essere la principale detentrice del sapere.

Chiunque abbia avuto il piacere di guardare lo spettacolo del 2012 ITIS Galileo che Marco Paolini ha dedicato alla vita di quest’uomo, si è reso conto di quanto possa essere ritenuto a tutti gli effetti una figura anticonformista nonostante l’atto di abiura. Questo perché vale la pena ricordare che né la sua vita né la sua passione vennero spente dall’abiura; Galileo trovatosi agli arresti domiciliari, ormai cieco e senza più credibilità non si fermò, e tra i settanta e gli ottanta anni riprese, con l’aiuto di allievi fedeli, alcuni dei propri esperimenti.

Per ognuno di essi, spiegò nel dettaglio come era giunto al risultato: è la nascita del metodo scientifico, lo stesso che permetterà ad altri studiosi come Newton e Einstein di formulare le loro teorie, proprio a partire da questo testo chiamato Discorso sopra due nuove scienze che uscirà furtivamente dalla casa come manoscritto e verrà pubblicato in Olanda da dove partirà per diffondersi ovunque.

Alla scoperta dell’universo

Le scoperte, non sono quasi mai frutto dell’ingegno di un solo individuo che raggiunge un’improvvisa illuminazione, ma sono il risultato di un lungo percorso in cui ogni persona dà il proprio contributo. Nella storia della scoperta di Galilei, tanti nomi giocano un ruolo importante, come ad esempio: Ipazia, Giordano Bruno, Copernico, Keplero, Newton, Margherita Hack. Alcuni di loro sono ricordati proprio per i loro scontri con le istituzioni religiose che non si mostravano aperte a nuove possibilità.

Ipazia, capo della scuola neoplatonica d’Alessandria d’Egitto e importante matematica e astronoma, formulò ipotesi riguardo al movimento della terra e venne poi lapidata nel 415 D.C. da alcuni vescovi fanatici dell’epoca; su di lei Margherita Hack disse: “Ipazia rappresentava il simbolo dell’amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatto grande la civiltà ellenica. Con il suo sacrificio cominciò quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tentò di soffocare la ragione”.

La “colpa” di Giordano Bruno qualche secolo dopo, fu invece quella di affermare che Dio è presente in natura e la rende viva, e che il cosmo è infinito. Furono proprio questi pensieri che lo portarono ad essere arso vivo in Campo dei Fiori a Roma nel 1600. Copernico con la sua teoria eliocentrica aprì la strada a Keplero e Galilei, ma fortunatamente per lui, morì in contemporanea alla pubblicazione del proprio libro e non fece in tempo a vederlo messo all’indice.

Ma è solo con l’arrivo di Newton che le vecchie credenze medioevali secondo le quali in cielo valevano leggi diverse da quelle in terra vennero messe a tacere; la concezione eliocentrica del mondo otteneva così, una spiegazione definitiva. Per raccontare la lunga strada che porta alla scoperta dell’universo Margherita Hack disse: “Nell’antichità l’uomo, ingannato dai propri sensi, riteneva che la Terra fosse il centro dell’universo. Poi ha capito che la Terra e i pianeti ruotavano attorno al Sole, posto al centro del sistema solare. In seguito ha compreso che il Sole è una stella come miliardi di altre, mentre l’inganno dei sensi aveva ancora fatto ritenere che il Sole si trovasse al centro della Via Lattea, e che questa abbracciasse tutto l'universo. Nel tempo, ha scoperto che il Sole occupa una posizione periferica nella Via Lattea, che questa è una galassia fra miliardi di altre, e che tutte insieme costituiscono il nostro universo. E ora ci domandiamo: ma questo è veramente tutto ciò che esiste, o è solo un universo fra infiniti altri?

Fede e scienza

Un altro esempio della reazione controversa da parte della religione rispetto ad una scoperta scientifica è senza dubbio il caso della teoria dell’evoluzione delle specie di Charles Darwin. La chiesa infatti, non accettava di buon grado l’idea che noi e le scimmie potessimo essere in qualche modo imparentati e ne nacque un grande dibattito nel 1860 in cui le autorità religiose furono per la prima volta attivamente coinvolte. Di nuovo, come nel caso di Galilei, si andava a mettere in discussione una di quelle convinzioni che esistevano da secoli (il creazionismo in questo caso) e apparivano pertanto incontestabili.

Non tutti gli esponenti della chiesa però rifiutarono gli studi di Darwin, vale infatti la pena ricordare lo scrittore e sacerdote Charles Kingsley, che sin da subito appoggiò le sue teorie dichiarando che “da molto tempo, guardando la traversata di animali addomesticati e piante, imparava a non credere al dogma della permanenza delle specie”. Nel suo celebre libro The water babies criticò aspramente la chiusura mentale di fronte alle nuove scoperte e si fece difensore della natura e degli animali che intendeva come parte integrante del progetto divino. Lo stesso Darwin era un fervente cattolico e si chiedeva come il semplice fatto di affermare l’evoluzione delle specie potesse essere in contrasto con la fede in Dio.

A questo proposito nel Mondo di Sofia di Jostein Gaarder, i protagonisti hanno una conversazione riguardo alla relazione tra le scoperte scientifiche e il sentimento religioso:

“E gli esseri umani dovettero accettare l’idea di vivere su un pianeta qualsiasi nello spazio infinito?” chiese infine. “Sì, la nuova concezione del mondo fu sotto molti aspetti un duro colpo, simile a quello che l’umanità dovrà subire nell’Ottocento a causa delle teorie evoluzionistiche di Charles Darwin. In entrambi i casi gli uomini dovettero rinunciare, almeno in parte, alla loro posizione di privilegio nel creato, e in entrambi i casi la Chiesa si oppose strenuamente.” […] “Quando Newton affermò che le stesse leggi fisiche valgono in tutto l’universo, c’era da credere che egli mettesse in dubbio la fede nell’onnipotenza divina. Invece la fede di Newton in Dio non vacillò affatto: al contrario, egli considerava le leggi naturali una testimonianza della potenza e della grandezza di Dio.”

Alla fine, anche il nostro Galileo si riappacificò con le istituzioni ecclesiastiche quando Papa Wojtyla si scusò con 359 anni, 4 mesi e 9 giorni di ritardo nel 1992. Oggi la chiesa si dimostra sempre più disponibile nei confronti della scienza, ma a noi tutti resta comunque il compito di celebrare il coraggio di donne e uomini come Galileo, che hanno dedicato la propria vita all’amore per la verità in tempi in cui non molti erano disposti a vederla.

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