Per la rassegna “Storia e Storie”, Giovanna Tosatti, professoressa emerita di Storia delle istituzioni politiche, presenta presso la ex Chiesa di San Francesco Storia della polizia. L’ordine pubblico in Italia dal 1861 ad oggi, edito da Il Mulino. Dialoga con l’autore il giornalista Gianni Scipione Rossi.
Le origini preunitarie e la nascita della polizia italiana
Nei 164 anni di storia dell’Italia unita, le forze preposte al mantenimento dell’ordine pubblico hanno affrontato situazioni sociali e politiche estremamente differenti e spesso complicate. D’altro canto, lo stesso processo di formazione della polizia italiana è stato travagliato, nella misura in cui essa doveva sostituire una serie di istituzioni, molto diverse l’una dall’altra, che gestivano l’ordine pubblico negli Stati preunitari. Ad esempio, il Regno di Sardegna faceva grande affidamento sull’esercito e sui Carabinieri, una propria forza peculiare, fondata sul modello della gendarmeria francese, che dopo l’Unità si è imposta in tutta Italia. In generale, comunque, la struttura delle polizie preunitarie si rifaceva al modello napoleonico. Soltanto alla fine del secolo, alcuni uomini politici iniziarono a sostenere la validità di un altro modello europeo, quello inglese, che prevedeva la presenza di numerosi agenti di prossimità, estremamente legati al proprio territorio. Tuttavia, questo tipo di organizzazione delle forze di polizie non ebbe grande fortuna nel Bel Paese.
La polizia nell’Italia liberale
I primi decenni successivi al 1861 furono molto complessi per la polizia italiana e, in particolare, dal punto di vista delle relazioni con il popolo: a differenza dei carabinieri, percepiti come più vicini, gli agenti di polizia, in numero inferiore e preposti al mantenimento dell’ordine nelle grandi città, venivano spesso dispiegati per reprimere le proteste del popolo. Basti pensare ai moti di Milano del 1898 e alla successiva strage ordinata dal generale Bava Beccaris. Tuttavia, dopo la morte di Umberto I, il clima sociale e politico si placò notevolmente e, durante il primo decennio del ‘900, le forze di polizia italiane conseguirono sviluppi considerevoli, in particolare per quanto riguarda la scuola di polizia scientifica. In generale, tutto il periodo giolittiano, si è rivelato piuttosto sereno rispetto alla precedente epoca politica.
Durante il Ventennio
Nel periodo fascista, sottolinea l’autrice, risulta particolarmente interessante la figura di Arturo Bocchini, capo della polizia dal 1926 fino alla sua morte, nel 1940. In effetti, è proprio la longevità del suo incarico a rendere Bocchini un unicum nel Ventennio. Mussolini, infatti, tendeva a cambiare spesso le mansioni dei suoi sottoposti, per evitare che incentrassero nelle loro mani troppo potere. Al contrario, Arturo Bocchini, che per altro era stato un prefetto di formazione liberale, restò in carica per ben 14 anni; durante questo lasso di tempo istituì un sistema di polizia atto a prevenire qualsiasi tentativo di attentare alla vita del Duce (nei primi Anni ’20 questa circostanza si era verificata diverse volte), di cui faceva parte anche l’OVRA e che si basava su una rete capillare di informatori.
La transizione dopo il 1943
Ovviamente, la situazione cambiò notevolmente dopo l’Armistizio dell’8 settembre. Tuttavia, nonostante ciò, la grande struttura dello Stato non crollò all’improvviso e la stessa Repubblica Sociale non era in grado di tenere sotto controllo ogni singolo paese, come invece si voleva far credere. La situazione restò comunque travagliata almeno fino alla fine della guerra; già nel luglio del ’43 il Governo Badoglio aveva militarizzato la polizia e nei mesi successivi molti agenti della PAI (Polizia dell’Africa Italiana) erano stati reintegrati nei corpi di pubblica sicurezza dello Stato. Dopo la Liberazione, il PCI cercò di far arruolare dei suoi membri in polizia, cosa che effettivamente accadde, tuttavia, con l’inizio della Guerra Fredda e la decisione di aderire alla NATO, ci furono conseguenze anche nei ranghi delle forze dell’ordine. Numerosi agenti che avevano precedentemente servito il regime, molti dei quali scelti da Bocchini, mantennero il loro ruolo, in virtù della loro conoscenza del PCI.
L’ingresso delle donne in polizia e l’era Vicari
Nell’Italia repubblicana, sottolinea l’autrice, è di fondamentale rilevanza la figura del prefetto Angelo Vicari, capo della polizia dal 1960 al 1973. Egli, dunque, ricoprì questo prestigioso incarico in un periodo caratterizzato da numerosi contrasti sociali, in cui l’apporto della polizia era fondamentale ai fini di tutelare l’ordine pubblico. Inoltre, già a partire dal 1959, era stata data la possibilità di arruolarsi anche alle donne, in uno specifico corpo civile, dedicato a tematiche delicate o rilevanti da un punto di vista morale, come la tutela dei minori o delle stesse donne. La polizia, dunque, aprì le sue porte al personale femminile molto prima della magistratura e delle altre forze dell’ordine.
La riforma del 1981
Nei decenni successivi, la riforma più importante è quella del 1981, che ha reso nuovamente la polizia un corpo civile, le ha dato la struttura che mantiene ancora oggi e ha equiparato uomini e donne. Inoltre, già a partire dagli Anni ’70, il Ministero dell’Interno aveva aperto alla possibilità di istituire un movimento sindacale interno alla polizia.