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Martin Luther King Jr. può essere considerato uno dei grandi padri della lotta per i diritti civili degli afroamericani, nonché promotore e difensore del valore di uguaglianza tra tutti gli uomini.
Divenne celebre il discorso che pronunciò il 28 agosto 1963 a Washington, durante la Marcia per il Lavoro e la Libertà, che contiene la frase “I have a dream”.

Il 4 aprile 1968 venne assassinato in un motel di Memphis, a soli 39 anni. Un’esistenza breve, ma caratterizzata da un forte impegno civile per combattere la discriminazione razziale e per ottenere diritti ancora non sempre garantiti in diverse parti del mondo.

Una famiglia di fedeli

Martin King  Jr. nacque ad Atlanta il 15 gennaio 1929 in una famiglia molto devota. Suo padre, Martin King Senior, era reverendo di  chiesa Battista, mentre sua madre, Alberta Williams, suonava come organista nel coro della Chiesa.

La profonda fede religiosa si intuisce anche dalla scelta del padre di aggiungere “Luther” al nome, fatta nel 1934 dopo un viaggio a Berlino, dove rimase colpito dalla figura di Martin Lutero.

Frequentò le scuole elementari ad Atlanta, poi proseguì gli studi superiori a Washington. Venne ammesso all’Atlanta Baptist College, per soli neri, dove si laureò in sociologia a 19 anni. Oltre alle esperienze di studio, ebbe alcune esperienze nel mondo del lavoro e dell’oratoria. Nel primo ambito maturò episodi negativi: si licenziò da un corriere presso cui lavorava perché il capo bianco lo chiamò “nigger”, termine dispregiativo. Nell’ambito dell’oratoria ottenne invece delle vittorie, classificandosi per ben due volte al secondo posto in un contest organizzato dal college.

Martin Luther King, dagli studi in seminario ai primi contatti con la questione razziale

Nel 1948, dopo diverse incertezze sul futuro, Martin Luther King si iscrisse al Theological Seminary di Chester, Pennsylvania seguendo quindi le orme del padre, pastore battista. Durante gli studi fu premiato come miglior studente ed inoltre assistette ad una conferenza sul Mahatma Gandhi (1950), la cui idea di dottrina non violenta lo folgorò e lo ispirò per le successive battaglie.

Proseguì la carriera accademica all’Università di Boston dove ottenne il Dottorato in Filosofia nel 1955. A Boston incontrò anche l’amore della sua vita, Coretta Scott, con cui si sposò nel 1953. Terminati gli studi accettò l’incarico della chiesa di Montgomery, nel profondo sud degli USA dove la situazione razziale era molto problematica. Entrò a far parte dell’associazione per i diritti civili NAACP (National Association for the Advancement of Colored People). In seguito fondò egli stesso il Congresso Dei Leader Cristiani Degli Stati Del Sud (SCLC). Fu l’inizio del suo sogno.

Tutto iniziò su un autobus

Nel 1955 accadde un episodio che segnò profondamente la lotta per i diritti civili. A Montgomery, un’attivista nera di nome Rosa Parks, che stava seduta su un autobus per tornare a casa, si rifiutò di cedere il posto ad un bianco come le era stato ordinato. Per questo rifiuto, venne arrestata. Lei stessa dichiarò: “Non devi mai avere paura di quello che stai facendo quando sei nel giusto”.

Martin Luther King, che subì un episodio simile a quattordici anni di ritorno da una gara di oratoria, sentì dentro di sé di non poter più accettare la situazione e che era il momento di iniziare ad agire. Diede avvio da parte di tutta la comunità afroamericana al boicottaggio dei mezzi pubblici di Montgomery.

Un lungo boicottaggio, durato ben 382 giorni, che portò ad un grande risultato: nel 1956 la giuria della contea di Montgomery ritenne anticostituzionale la segregazione forzata di passeggeri neri dai passeggeri bianchi sugli autobus. La comunità nera gioì per la decisione, ma venne vessata da attacchi di estremisti bianchi membri del Ku Klux Klan che utilizzarono la violenza ed perfino bombe sulle case dei cittadini neri.

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Image by DWilliams from Pixabay

Martin Luther King e Kennedy: arriva l’appoggio della Casa Bianca

Nel 1960 John Fitzgerald Kennedy e Martin Luther King si incontrarono di persona e giunsero ad un comune accordo sull’importanza di sostenere i diritti civili degli afroamericani e del garantire loro il diritto di voto. Nonostante alcune dichiarazioni antitetiche che Kennedy aveva rilasciato ne 1957, appoggiò la battaglia di King ed assieme al fratello Robert Kennedy si mobilitò per scarcerare il pastore, dopo una condanna a lavori forzati dovuta ad un sit-in in un magazzino. Infatti nelle presidenziali del 1960 J.F. Kennedy ottenne numerosi voti dalla comunità nera e risultò vincitore, divenendo il 35° Presidente degli Stati Uniti d’America.

La Marcia di Washington: “I have a dream”

Dopo gli eventi di Birmingham, che videro ribellioni contro la protesta non violenta dei neri, il presidente Kennedy decise di proporre al Congresso un provvedimento che sancisse l’uguaglianza e la parità di diritti tra cittadini bianchi ed afroamericani. Subito dopo Martin Luther King, assieme ad altri esponenti della lotta civile per i diritti degli afroamericani, organizzò una marcia verso Washington. Il 28 agosto 1963, un numero impressionante di persone, circa 250.000, si radunò al Lincoln Memorial per celebrare il Proclama di Emancipazione emanato dal Presidente Lincoln nel 1863, durante la Guerra civile americana. Il Presidente Kennedy, pur temendo eventuali disordini, non ostacolò la marcia e strinse la mano ai capi delle organizzazioni per i diritti civili. Fu una marcia straordinaria “per il lavoro e per la libertà”, durante la quale si avanzarono delle richieste sui diritti. In quest’occasione Martin Luther King pronunciò uno dei più celebri discorsi della storia americana: “I have a dream”.

“[…] Io ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.
Io ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.
Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. […]”

Il Premio Nobel per la Pace

Nel 1963 venne meno l’appoggio del Presidente Kennedy, ucciso il 22 novembre. King in questa circostanza dichiarò quanto l’odio fosse contagioso, al pari di un virus. A fronte della tragica conclusione del 1963, il 1964 si rivelò un anno di conquiste. Il 10 febbraio venne approvato il Civil Rights Act che “aboliva la discriminazione nei servizi pubblici di ogni genere, alberghi e motel, ristoranti e stadi, teatri, biblioteche pubbliche, nel lavoro e nei sindacati dei lavoratori.” Inoltre 10 mesi dopo, a Oslo, King fu insignito del Premio Nobel per la Pace, a soli 35 anni. Il Premio fu di un certo un grande riconoscimento alla sua causa ed un implicito appoggio da parte della comunità Occidentale. Eppure Martin non gli diede grande importanza, perché era ancora tanta la strada da fare e non poteva fermarsi proprio ora, giunto alla vetta, doveva ritornare a valle.

Il Bloody Sunday: da Selma a Montgomery

Nel 1965 Martin Luther King organizzò altre marce che dalla città di Selma, Alabama, si spinsero verso Montgomery dettate dall’esigenza di maggiori tutele sul diritto di voto ai neri. La più famosa, avvenuta il 7 marzo, prese il nome di Bloody Sunday: i manifestanti non violenti vennero aggrediti da gruppi di bianchi e della polizia. Fu un episodio che ebbe risonanza mondiale e contribuì ad un’ottica più chiara di ciò che erano i soprusi sui neri. A fine di queste marce il presidente Johnson, succeduto a Kennedy, presentò una legge sul diritto di voto chiamata Voting Rights Act.

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La tragica morte, a soli 39 anni

Il 4 aprile 1968, mentre si trovava al Lorraine Motel di Memphis di ritorno da una marcia, Martin Luther King venne colpito alla testa da un colpo di fucile. Subito soccorso e trasportato in ospedale, venne dichiarato morto un’ora dopo l’accaduto. Il 7 aprile il presidente Johnson dichiarò il lutto nazionale. Il 9 aprile venne celebrato il funerale, per il quale King aveva lasciato alcune informazioni in precedenza, perché sapeva che prima o poi avrebbe fatto la stessa fine di Kennedy.
“Se qualcuno di voi sarà qui nel giorno della mia morte, sappia che non voglio un grande funerale e se incaricherete qualcuno di pronunciare un’orazione funebre, raccomandategli che non sia troppo lunga. Ditegli di non parlare del mio premio Nobel, perché non ha importanza. Dica che una voce gridò nel deserto per la giustizia. Dica che ho tentato di spendere la mia vita per vestire gl’ignudi, per nutrire gli affamati, che ho tentato di amare e servire l’umanità”.

La perdita di un Leader

La morte di un leader quale Martin Luther King ebbe gravissime ripercussioni: ci furono scontri che portarono a vittime, nonostante i leader politici incitassero alla non violenza e al dialogo. I bianchi erano sempre stati inclini alla violenza e diedero ancor più sfogo a questa. I neri, seguendo l’esempio di King, avevano sempre condotto la loro lotta in modo non violento, ma fu difficile proseguire su questo tono. Non si trovò un colpevole: James Earl Ray, condannato a 99 anni di carcere, ritrattò e la stessa famiglia di King lo ritenne innocente e pensò all’omicidio come frutto di una cospirazione.

Coltivare la memoria

La salma di Martin Luther King riposa nel cimitero di Southview, ad Atlanta. I luoghi che lo hanno visto crescere, ad esempio la sua casa o la chiesa battista, sono entrati a far parte di quello che Donald Trump ha reso un parco storico nazionale.

Al suo interno anche un giardino botanico, una strada con le orme di grandi attivisti e dei monumenti, uno anche per Gandhi. È stato istituito il Martin Luther King Day, che è il terzo lunedì di gennaio.

Barack Obama, primo presidente degli Stati Uniti d’America di origini afroamericane, rese omaggio a Martin Luther King nel 2013 a 50 anni dalla Marcia di Washington. Dagli stessi scalini del Lincoln Memorial, Obama ha dichiarato il debito che hanno i cittadini afroamericani verso King.

Obama incarna il frutto dell’uguaglianza sognata da Martin Luther King, ma ha ricordato quanto “le disparità economiche e civili del paese rendono il sogno ancora irrealizzato”.

Durante la commemorazione ha parlato anche John Lewis, deputato 73enne che partecipò di persona alla Marcia del 1963, quando Obama aveva solo due anni. Lewis ha fatto il punto sul cammino per l’abolizione delle disuguaglianze dicendo: “Abbiamo fatto tanta strada in questo Paese negli ultimi 50 anni, ma abbiamo tanta strada ancora da fare prima di realizzare il sogno di Martin Luther King”.

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