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di Anita Gambelli

 

Lui e lei si conobbero tempo fa in farmacia. In fila.
C’era sempre gente in farmacia quando ci capitava lui, solitamente a fine giornata, dopo il lavoro. Apprezzava quei momenti di condivisione e al tempo stesso li temeva, in particolare nei periodi freddi quando si è maggiormente esposti alle malattie stagionali, sebbene disponesse di un armadietto dei medicinali ben fornito e facesse il vaccino antinfluenzale con regolarità.
Vivere da solo cominciò a pesargli da un giorno all’altro o fu quando compì gli anni o il giorno di Natale, non se lo ricordava.
Gli fu suggerito di prendersi un cane o un gatto, non considerò tali ipotesi per un solo istante. Il suo appartamento era immacolato, una bestiola non si sarebbe trovata a proprio agio.

Il morso della solitudine allentò la presa il pomeriggio in cui trovò in fila una lei che rispondeva ai suoi canoni. Non estetici, di comportamento. Il linguaggio del corpo non mente, lui da timido qual era sapeva osservare e interpretare. Quando la sentì chiedere certe medicine che conosceva bene, gli si aprì un mondo.
Ebbe la fortuna, alimentata da una lodevole costanza, di rincontrarla più e più volte, chiedendosi come gli fosse sfuggita fino ad allora.
Fu davvero un atto eroico attaccare bottone, temette di svenire, invece portò a termine la missione e iniziarono a frequentarsi.
La buona sorte li aiutò a familiarizzare con tutto ciò che prevede una relazione, prima che un virus, più aggressivo delle solite influenze, si presentasse in quell’anno funesto, spargendosi un po’ a macchia d’olio, un po’ a macchia di leopardo e costringesse la popolazione a rinchiudersi in casa.

Lui e lei partirono avvantaggiati.
Già avvezzi al distanziamento sociale, alle amuchine, alle mascherine e ai guanti di lattice trovarono facile muoversi quel poco fuori dalle mura domestiche.
Ma furono assaliti dal terrore di ammalarsi. Quanto pensi che durerà? Si chiedevano tutti, in particolare loro due, al telefono. Dopo una settimana erano consapevoli che non sarebbe stata una cosa breve, avevano già setacciato internet e battuto a tappeto ogni approfondimento televisivo sull’argomento. Inutile precisare che i nomi dei luminari sottoposti alle varie interviste gli erano già noti.
Dovresti smetterla di seguire i notiziari h24, le disse lui durante una videochiamata in cui lei gli apparve avvolta in un plaid coi capelli sconvolti e due occhiaie profonde, che a un certo punto non fu più disposto a tollerare.

Nonostante la paura che li attanagliava, a lui si risvegliò prima che a lei un certo appetito sessuale e timidamente le chiese di usare i mezzi a disposizione per fare sesso virtuale. Quello che voleva lei, senza forzature, le domandò soltanto di presentarsi con una bella lingerie.
Non fu per nulla facile, né spontaneo, presero entrambi coscienza del fatto che si poteva migliorare, ma che forse per indole, loro due ci avrebbero impiegato più tempo di altri ad imparare.
Servì a farsi quattro risate, che alla fine si rivelò la miglior medicina.

Venne infine il decreto che permise a determinate categorie di persone di rincontrarsi, pur seguendo regole precise. Lui e lei rientravano nel discorso?
Procrastinare era facile, ritrovarsi divenne in poche ore il problema del secolo.
Una volta chiarito che finalmente potevano ricongiungersi, prenotarono il test sierologico e stabilirono, coi risultati negativi alla mano, dove incontrarsi.
Scelsero la casa di lei. Lui viveva in un condominio, troppe maniglie e pulsanti in comune.
Lei trascorse la giornata a igienizzare ogni superficie, ora sì che le stanze odoravano di ospedale! Un successo che non placò la sua ansia. Era contenta di rivederlo, certo, ma lo avrebbe abbracciato? Si sarebbe fatta abbracciare, baciare?
Lui fece tappa da un fioraio e provvide a sostituire la carta crespa della confezione con l’alluminio da cucina. Faceva tanto visita al cimitero, ma non aveva altro in casa.

Suonò al campanello, lustro come appena installato.
Il portone si aprì e lui varcò la soglia col cuore che batteva forte come un esercito lanciato contro il nemico.
Nessun nemico ad attenderlo al fronte, ma lei, carina nel suo vestitino a fiori, si era truccata, si intravedeva oltre la mascherina. Gli sorrideva. I capelli si erano allungati e li aveva raccolti per nascondere le imperfezioni.
Trascurabile l’aspetto di lui, a cui lei non diede importanza, c’era abituata.
Si salutarono mantenendo una corretta distanza, alla maniera di due fidanzati in un romanzo dell’Ottocento, sotto lo sguardo attento di qualcuno addetto alla sorveglianza della virtù della protagonista.
Lo ringraziò per i fiori, che appoggiò su un mobile, li avrebbe sistemati in seguito.
Lo invitò a togliersi le scarpe, poi a igienizzarsi le mani se lo desiderava, gli aveva fatto trovare un antisettico. Dopodiché gli fu chiesto di sfilarsi i vestiti e restare in mutande.

In tempi normali si sarebbero quantomeno abbracciati, quel giorno i convenevoli e i desideri vennero accantonati per dare spazio a procedure di importanza maggiore.
In mutande andò in bagno a lavarsi le mani. Procedette fino al lavabo senza toccare nulla, le porte erano spalancate, il rubinetto lo aprì lei, che restò a verificare tempi e modi.
Lavò le mani anche lei e con naturalezza si spostò nella camera da letto a togliersi ciò che indossava. Lui tirò giù le mutande.
Nessuno dei due tolse la mascherina e restarono l’uno di fronte all’altra a guardarsi, più negli occhi che altrove. Forse a cercare una risposta. La domanda era stata pronunciata in silenzio, come ci muoviamo? Baciarsi era fuori discussione, non quel giorno perlomeno e dopo l’amore se ne sarebbe andato. Non c’era l’intenzione di liberarsi della mascherina tanto facilmente, non avrebbero consumato un pasto insieme, non avrebbero condiviso il divano per guardare la tivù. Non quel giorno. Tuttavia avevano un desiderio bruciante che trascendeva tutto e che andava soddisfatto.
Lei sospirò. Senza ricorrere ad ulteriori spiegazioni, che avrebbero sminuito la natura e sarebbe stato un inutile spreco, decisi a non alitarsi in faccia, lei si dispose ad accoglierlo nell’unica maniera possibile.

 


Anita Gambelli ha 53 anni è nata a Senigallia e vive a Pesaro.
“Scrivo per passione -racconta- perché mi piace viaggiare e non sempre si può, perciò leggo e scrivo e così sono qui e ovunque”. 
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