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di Benedetta Briscoli

 

Luna aprì gli occhi e il primo pensiero che le ferì la mente fu quello di un’ingombrante giornata da dover affrontare dipingendosi in viso un sorriso di educazione, come la bonaccia in un mare in tempesta.
Luna, questo nome così lontano, così celeste e sognante era stato dato a lei, pensava, la creatura più cruda e concreta che abbia mai calpestato la terra: la sua era, secondo lei, una vita che si muoveva attenta e ostinata per non inciampare sugli ostacoli posti sapientemente da chicchessia.
Luna appoggiò stancamente i piedi su quello che considerava un terreno di guerra e si avvicinò con lenti e lunghi passi al soggiorno, dove ad attenderla, assieme a un caffè ormai freddo, c’erano quattro occhi liquidi e preoccupati da sempre appartenuti ai suoi genitori.
Il motivo per cui quegli sguardi osservavano scrupolosamente il viso sfuggente di Luna riposa in un cassetto della memoria mai chiuso a chiave e sempre pronto a svelare il proprio contenuto, qualora la situazione potesse considerarsi delicata, che poi delicato è tutto e niente, pensava Luna, dipende dalla mano che lo tocca e dagli occhi che lo leggono.

In quella mattina così chiassosa nel suo silenzio carico di domande, Luna conosceva già le risposte, decifrava quegli occhi da sempre e mai era caduta in errore: quella notte doveva aver lasciato scivolare via dalla sua mente, dalla sua bocca quelle parole che tanto ostinatamente teneva allacciate ai suoi pensieri e quegli occhi che la fissavano le avevano scritte proprio lì, al centro.
Luna si sedette su una sedia scricchiolante di quel tavolino che nel corso della sua vita era stato palco per ogni tipo di rappresentazione: commedie, drammi, scioperi, digiuni, ira e tanto altro, ma che quella mattina avrebbe avuto semplicemente il compito di sorreggere il suo corpo oppresso da un peso che, sapeva bene, voleva liberarsi da lei.

Una canzone, sfuggita alla radio del salotto arrivò a sfiorarla distratta, ma Luna raccolse quelle parole che mettendosi ordinatamente in fila, disegnarono un ricordo. Anni prima, l’atrio di una scuola che sembra così diversa, facce che si ripetono e si somigliano, il peso dello zaino, il vocabolario di greco tra le mani che insiste con una gravosità saggia e antica e poi una voce dal timbro forse troppo acuto: è arrivato.
Luna dovette scostare dalla mente l’idea di poter raggiungere di nuovo quel momento, le sue mani non sarebbero state mai tanto abili da poter toccare di nuovo quell’attimo. Le parole della canzone arrivano sussurrate ai pensieri di Luna, ormai arresa a riaprire quel cassetto mai chiuso.
E una canzone che parla del tempo …
Dopo la scuola e quell’uscita tanto sperata, i ricordi di Luna incontrano un profumo pungente mescolato a uno più dolce, che non saprebbe distinguere se appartenesse a lei o lui, ma che permea quei ricordi lontani e sottili, come fili lasciati spezzarsi nel tempo.

Appoggiò la tazza del caffè decisa a farsi portare dove la sua mente aveva già deciso di farla arrivare, sentiva quegli occhi in salotto pedinare i suoi movimenti, pronti a cogliere il momento in cui sarebbe andata in “tilt”, come diceva lei. Di nuovo quei ricordi mettersi in fila per essere guardati, una maglietta stirata male un regalo fatto senza il bisogno di una data da memorizzare, un abbraccio che giurava una protezione mai arrivata.
C’era l’odore dell’estate in quelle immagini, quello che senti quando è ormai quasi autunno e non puoi far altro che rimpiangerlo e attendere che torni. Affacciata a un balcone quella Luna di molti anni prima, che sembra più lontana del tempo trascorso, pensava che la felicità fosse tutta lì, in un nome di poche sillabe e in
un profumo tanto forte che non lo avrebbe dimenticato mai. Ricorda delle mani, forse sono le sue o le sta immaginando, piccole, le unghie laccate di un rosso vivo e vibrante muoversi esitanti su un viso giovane, un bacio lento di quelli che poi sai che correrai a raccontare alle amiche o a confessare a un diario.

Il tempo della memoria, pensò Luna con la mano che esitante afferrava un biscotto di troppo, cancella e modella una realtà tanto più simile a quella che vorremmo aver vissuto e nella mente di Luna c’è un vuoto fatto di un silenzio nato da un rumore assordante, che urla rancore, un chiasso indecifrabile, dal quale emergono con forza,
come avessero preso respiro alcune parole: Non c’è più.
Non c’è più e non è colpa sua, né tua e non hai nessuno da odiare o su cui puntare l’imperativo e la rabbia di un indice, rimane sospesa quella promessa infranta di protezione e quella nota di profumo che non è vero che avresti dimenticato. Luna ha fatto spazio dentro sé all’assenza, spostando in un angolo buio tutto quello che riempiva di luce le sue giornate.

Da quel giorno di settembre quelle quattro parole sono state l’unico alfabeto che Luna conoscesse, l’unica misura con la quale pesare il tempo: i giorni si sono guardati passare e allo spegnersi del fuoco di ogni candelina ha sorriso sperando in un desiderio impossibile.

Luna si alza dalla sedia, scosta qualche briciola aggrappata agli angoli della bocca e pensa che quel tavolino sarebbe il caso di nasconderlo in soffitta, come può una vita riscriversi da zero se il palco è sempre quello.


Benedetta Briscoli, ha 28 anni, abita a Fano ed è un’insegnante di Lettere.
La sua vita si è sempre mossa seguendo la passione per la Letteratura, dai banchi del
Liceo Classico a quelli della facoltà di Lettere a Bologna.

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