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di Martina Morelli

 

Erano ormai diversi giorni che i vari giornali e quotidiani avvisavano dell’arrivo di un’ondata di neve e gelo prevista per quel lunedì, così la domenica andò a dormire presto puntando la sveglia all’alba. La notte passò veloce e lei aprì gli occhi giusto qualche minuto prima, come se sapesse che era arrivato il momento.
Si alzò di fretta e furia. Si accorse che la stanza, illuminata come sempre dalla luce che faceva capolino dalle persiane, non era avvolta dai soliti colori gialli e caldi, ma fredda, quasi azzurra. Stava per aprire la finestra, quando si ricordò di essere in pigiama. Corse a prendere la vestaglia, mettendola al contrario per la fretta.
E aprì.

All’inizio dovette combattere con il vento gelido che subito le avvolse il viso e chiuse per un secondo gli occhi. Tutto quel bianco a cui non era mai stata abituata, le fece lo stesso effetto di guardare il sole.
Poi riuscì a vederla. La neve. A giudicare dal fatto che tutto era stato ricoperto da almeno 20 cm di quel cotone bianco, aveva nevicato tutta la notte. E ancora nevicava.
Guardò scendere quei candidi fiocchi quasi come se non se ne volesse perdere nemmeno uno. Iniziò ad immaginare che fossero persone. Due li vide scendere insieme, facendo mille giravolte, e decise che dovevano essere due ballerini. Altri sembravano tanti bambini che facevano a gara per chi arrivava prima alla meta, ed altri ancora ipotizzò potessero essere tanti ragazzi felici ad un concerto. Si rese conto di essersi incantata per alcuni minuti, e questo la fece sorridere.
Tornando alla realtà notò che il vialetto di casa era completamente imbiancato e così la macchina, come se qualcuno l’avesse ricoperta con tanti plaid bianchi. Sembrava che ogni cosa giocasse a nascondino. Era un’intera distesa bianca.

Corse dai genitori per dar loro in anteprima la notizia. Manco fosse una bambina di 5 anni. “Sveglia gente! È arrivata la neve! Muovetevi!” il padre fece finta di nulla e si girò dall’altra parte. La madre invece bofonchio qualcosa tipo “ok! Arrivo”. Realizzò che qualche anno prima aveva comprato una tuta da sci, nonostante non fosse mai andata a sciare. Era un’offerta e si convinse a comprarla dicendo tra sé “può sempre tornare utile”. Faceva spesso acquisti del genere, nella certezza che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui si sarebbero rivelati utili.Questa era una di quelle volte.
Si vestì e fu contenta del fatto che le calzava a pennello, nonostante avesse preso qualche chilo. Uscì dalla camera, quando vide la sua immagine riflessa nello specchio appeso alla porta. Per un attimo si senti quasi diversa, come perfetta per quel momento e per quella situazione. Scese le scale.
Dove vai?” le chiese la madre vedendola vestita di tutto punto. “Esco!” e riuscì a sentire a malapena che le aveva praticamente urlato dietro “Prima mangia! È pronta la colazione“. Conosceva bene sua figlia e sapeva che sarebbe stato inutile insistere se ormai si era messa in testa qualcosa.

Iniziò a camminare nella neve, nonostante ad ogni passo sapeva di rovinare quella perfezione. Si era svegliata presto apposta affinché potesse essere fra i primi a godersi quello spettacolo così intatto come madre natura l’aveva creato. Cerco di fotografare con la memoria, prima ancora che col telefono, ogni dettaglio, così da poterlo avere sempre con sé.
Poco più avanti di casa sua vide due persone. Erano sicuramente marito e moglie. Lui intento a spalare la neve per liberare la macchina, e lei al telefono che diceva al datore di turno “Guardi, arriverò sicuramente tardi al lavoro”. Dopo aver fatto un giro per il quartiere sorridendo a quelle poche persone che incontrava e con le quali era evidente lo sguardo di intesa e solidarietà come a dire “visto quanta?!”, rientrò in casa.
Ehi ma’! Ne ha fatta tantissima, ad un certo punto sono affondata perché non mi ero resa conto di dove finiva il marciapiede ed iniziava la strada” e si mise a ridere. “Parla piano che tuo padre sta ancora dormendo. E comunque devi stare attenta, che poi rischi di farti male
Come al solito sua madre ricopriva magistralmente il ruolo di chioccia, attenta in ogni istante all’incolumità dei suoi pulcini.

La giornata trascorse velocemente. Aveva deciso un po’ per comodità e un po’ per godersi lo spettacolo di andare a lavorare a piedi. Nonostante la neve il lavoro c’era stato ed era bello nelle pause guardare dalla finestra e vedere nel parco di fronte tutti i bambini che, vista la chiusura delle scuole, avevano obbligato chi i genitori chi i nonni ad uscire per giocare con la neve. E così i bambini più grandi costruivano pupazzi di neve o si lanciavano palle di neve, mentre i più piccolini li vedevi incespicare perché affondavano o perché inciampavano guardando col naso all’insù tutte quelle specie di pezzettini di carta che cadevano e che era la prima volta che vedevano, ed era buffo come cercassero di prenderli per analizzarli meglio, e si dispiacessero nel momento in cui si smaterializzavano fra le mani.

La sera fu l’ultima ad uscire. Saranno state le 21. Vista l’ora e la giornata, in cui molte persone non erano andate al lavoro, per strada non c’era praticamente nessuno. Ma questo non le fece paura, anzi ne era felice. C’era ancora un po’ di nevischio, ed il vento stava concedendo una tregua. Andò molto lentamente, per potersi assaporare ogni istante. Le piaceva il fatto che non ci fosse nemmeno una macchina in quella strada che solitamente era tanto trafficata. Erano rimaste ferme tutte ai lati come fanno i soldati al passaggio dell’ufficiale, mentre le persone erano andate a piedi.
Si immaginò suo nonno dirle “eh cara mia, una volta ci spostavamo sempre a piedi! La mia scuola era a 10 km, e ci dovevi andare neve o pioggia”.

Tutto quel silenzio le sembrò la musica più bella mai sentita e tutta quella immobilità la danza più bella mai ballata. Era completamente sola, sapeva che lì nelle case intorno c’erano tante persone intente nelle loro cose, ma voleva pensare di essere solo lei. E fu in quel momento che realizzò che in tutta la giornata non aveva pensato nemmeno per un’istante a tutti i suoi problemi. Non aveva sentito i soliti dolori. Non le era pesato far nulla. Aveva vissuto come le piaceva fare, felice. E così nonostante non ci fosse in giro nessuno, in quell’istante non lo era. Infatti era circondata da tanti piccoli amici bianchi e leggeri che uno dopo l’altro le accarezzavano il viso.


Martina Morelli ha 30 anni e lavora come barista. Ha studiato al liceo classico di Fano e di lei ci racconta: “italiano era sempre la materia che mi riusciva meno. Poi crescendo mi sono ritrovata di tanto in tanto a scrivere”.

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